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Il filo che lega patologie reumatiche e diabete

Sono 5milioni gli italiani che soffrono di una delle 150 patologie reumatiche ad oggi conosciute. Non essendoci ancora un registro nazionale, altri dati stimano che siano più di 13milioni le persone affette dalle malattie reumatiche. Tra questi, il Piemonte ne conta 365.000, dei quali più di 190.000 nella sola città di Torino. Ma i numeri, complice anche l’invecchiamento della popolazione, sono destinati ad aumentare. E, di conseguenza, aumenteranno anche i casi di disabilità legati a queste patologie: le malattie reumatiche, infatti, se non trattate con tempestività hanno come filo conduttore un peggioramento della qualità di vita declinato sotto tutti gli aspetti: attività lavorativa, vita affettiva e sociale rischiano di essere compromessi. «La diagnosi precoce è ancora l’arma vincente per contrastare l’evoluzione di queste malattie che, nella maggior parte dei casi, sono sistemiche, cioè interessano tutti gli organi. Al fine di raggiungere in modo sempre più efficace e tempestivo questo traguardo, è importante una sempre più stretta collaborazione con il medico di medicina generale. A titolo di esempio, uno dei ritardi diagnostici più lunghi è quello relativo alla spondilite anchilosante, che insieme all’artrite reumatoide colpisce lo 0,5% della popolazione italiana. La spondiloartrite anchilosante, tra i sintomi, presenta il mal di schiena e la persona che ne è colpita prima di essere visitata dal reumatologo può attendere anche 8 anni», premette Enrico Fusaro, Direttore della Reumatologia dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, che da ieri al 12 ottobre coordina i lavori del VII° Congresso tenuto presso lo Starhotels Majestic di via Vittorio Emanuele 54, dove si stanno sondando in modo corale le sfide del futuro di questa branca medica insieme agli esperti delle altre branche mediche, quali endocrinologi, cardiologi, oncologi, internisti, infettivologi e gli altri che interverranno ai lavori congressuali. In questa occasione, si celebreranno anche i 70 anni della Reumatologia delle Molinette.

 
All’attenzione degli esperti che interverranno ai lavori congressuali c’è anche lo stretto legame tra diabete e malattie reumatiche. Qual è il nesso che le unisce? «È un nesso biunivoco, perché l’infiammazione che accomuna le malattie reumatiche è uno dei motori principali che induce insulino-resistenza ed alterazione della funzione beta cellulare pancreatica che produce insulina. Pertanto, possono essere, in persone con già altri fattori di rischio, causa di elevazione dei livelli glicemici fino al diabete conclamato», spiega Fabio Broglio, Responsabile del Centro Unificato di Diabetologia e Metabolismo della Città della Salute di Torino e professore associato in Endocrinologia all’Università degli Studi di Torino.   Un altro aspetto da indagare precocemente, quindi, a seguito della diagnosi di una malattia reumatica? «Assolutamente», sostiene il professor Broglio: «In quanto la patologia reumatica di per sé, o alcune sue terapie, possono influenzare negativamente il metabolismo glicemico, con tutti i rischi che possono derivare sul sistema cardiovascolare, è importante sin da subito uno screening per escludere la presenza di forme di pre-diabete o addirittura di diabete misconosciuto che potrebbero peggiorare ulteriormente in conseguenza della problematica reumatologica. In caso di diabete noto è comunque necessaria una rivalutazione diabetologica per eventuali modifiche del piano di cura, in quanto lo stato infiammatorio potrebbe essere motivo di resistenza all’azione di alcuni farmaci antidiabetici. Non va infine dimenticato che le patologie reumatiche, soprattutto se molto invalidanti, limitano l’attività fisica che è uno dei principali cardini di efficacia della terapia per tenere sotto controllo il diabete». Inoltre, aggiunge il professor Broglio, «Alcune cure farmacologiche per le malattie reumatiche, soprattutto quelle inclusive di terapia corticosteroidea possono essere un ulteriore motivo di scompenso del controllo glicemico con necessità di rimodulazione della terapia diabetologica». A fronte di questo rischio e di questa correlazione con il diabete, qual è il consiglio da dare ad una persona che ha avuto diagnosi di malattia reumatica? «Il medico di base o lo specialista reumatologo possono invitare il malato a fare le opportune verifiche per accertare il rischio di sviluppare il diabete o la sindrome metabolica. Fare questa valutazione può essere utile anche in previsione dei possibili aggravamenti futuri legati alle eventuali terapie o alle limitazioni funzionali. Sebbene le comprensibili preoccupazioni che il malato reumatico si trova ad affrontare, è bene prestare attenzione anche alle copatologie indagandole per tempo, e non procrastinando. Si stima infatti che ogni 2-3 persone con un diabete noto, ve ne sia almeno una altrettanto affetta seppur ignara di esserlo per mancanza di sintomi, ma non per questo meno a rischio di svilupparne le complicanze cardiovascolari», suggerisce il professor Broglio.

Come si può contrastare la disabilità a cui possono condurre le malattie reumatiche? «Questo è uno dei grandi temi che affliggono i malati reumatici», sottolinea il dottor Fusaro: «il modo principale per affrontare il prima possibile questo aspetto e per contrastarlo è dato dalla diagnosi precoce e dalla terapia farmacologica, quando possibile. Motivare il paziente a seguire la cura, poi, è un altro dei compiti che spetta al reumatologo insieme a tutti gli altri esperti che incontrano».

In occasione dei lavori congressuali saranno anche celebrati i 70 anni della Reumatologia delle Molinette. «Sono un numero di anni congruo per celebrare un traguardo importante di questa branca medica: la Reumatologia delle Molinette è stato il primo reparto autonomo d’Italia. Arriviamo, poi, da una lunga tradizione di esperti. Prima della Seconda Guerra mondiale la Reumatologia ruotava attorno al termalismo, era nata ad Acqui Terme negli anni ’30 con il professor Ravenna che pubblicò molto poco, perché in quanto di origini ebraiche fu sospeso dall’attività in Italia e continuò la sua opera negli Stati Uniti. Ma fu lui a porre le basi di quella che è l’attività assistenziale e scientifica della struttura. Dopo la Guerra, nel 1949, fu creato il reparto di Reumatologia. Il primo direttore fu il professor Alessandro Robecchi e tra i suoi primi collaboratori vi furono i professor Vittorio Daneo e Di Vittorio, che sarebbero diventati i successivi direttori. I primi anni furono caratterizzati da un triplice obiettivo: l’avvio dell’attività assistenziale, un’attività di tipo sociale finalizzata alla diagnosi precoce, incominciando dalla medicina scolastica, ed un’intensa attività scientifica.  Relativamente a questo ultimo aspetto il gruppo di Torino partecipò attivamente al dibattito scientifico relativo alla classificazione delle malattie reumatiche, sostenendo l’ipotesi della separazione tra artrite reumatoide e le spondiloartriti, da ritenersi come entità separate, cosa che è ormai è assodata. Furono molto interessati inoltre all’introduzione di nuovi, per l’epoca, test diagnostici di laboratorio, e studiarono approfonditamente l’utilizzo in terapia dei farmaci cortisonici, che si affacciavano allora come prospettiva terapeutica. Il successivo direttore fu il dottor Vittorio Modena e dal 2008, il sottoscritto. Chi mi ha preceduto ha creato una scuola di cui ancora sentiamo l’influenza. È bene, dunque, celebrare tutti questi anni che hanno segnato una grande svolta della Reumatologia italiana», conclude il Direttore della Struttura Complessa di Reumatologia delle Molinette Enrico Fusaro.

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