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Stefano Stisi, Presidente CReI: «Non si può aspettare anni prima di avere una diagnosi»

Don’t Dealy Connect Today è il claim della campagna EULAR che coinvolge le organizzazioni pazienti (PARE), le associazioni professionali della salute e le comunità scientifiche per sensibilizzare sulla diagnosi precoce. Solo così, infatti, si può intervenire in modo tempestivo sulle 150 patologie reumatiche che interessano circa 13 milioni di italiani e iniziare una cura che permetta anche ai tanti giovani interessati da queste malattie di avere una qualità di vita migliore. Con questo intento, in tutti e cinque i continenti, il 12 ottobre si celebra la Giornata Mondiale delle Malattie Reumatiche (World Arthritis Day).
 
I fatti, però, ci dimostrano che molte persone arrivano a dare un nome ai loro disagi molti anni dopo gli esordi dei primi sintomi, vivendo, nel mentre, anche tante incomprensioni in famiglia. Che cosa si può fare affinché la diagnosi precoce diventi sempre più una realtà?

«Mettere in campo interventi sia nel sociale sia nell’assistenziale sempre più capillari. Dovremmo far sapere alle persone che le malattie reumatiche oggi hanno una cura, certo, non definitiva. Ma grazie ai nuovi farmaci biologici possiamo fare molto e prima si interviene, prima si avranno benefici», sostiene Stefano Stisi, Direttore della Reumatologia dell’Ospedale Rummo di Benevento e Presidente del CReI, il Collegio dei Reumatologi italiani.

«Le malattie reumatiche spesso non hanno una diagnosi tempestiva perché sono poco conosciute dalle persone e tante volte anche dai medici di base. Serve sfatare il mito che il dolore passi da solo o che l’età sia una delle cause naturali dei fastidi, per esempio, anche attraverso campagne istituzionali, come già si fa per altre malattie. Servono azioni di formazione sempre più massicce, e, non ultimo, un accordo di tutte le Regioni sui PDTA. Ci sono Regioni più virtuose di altre, ci sono ospedali che non hanno una reumatologia o che la stanno chiudendo», afferma Stefano Stisi.


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