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Ancora tanti ritardi nella diagnosi. SIR «Le reti possono fare il bene dei pazienti"

Come evidenziano i risultati della ricerca di ANMAR, realizzata in collaborazione con ISHEO e patrocinata dalla SIR, tra tutti i bisogni insoddisfatti quello più impattante è il ritardo nella diagnosi che risulta essere strettamente correlato con gli elevati livelli di dolore dichiarati dai pazienti. Motivazione che spiega i tanti ritirati dal lavoro. «I pazienti reumatologici vivono difficoltà oggettive alle quali non sempre il sistema sanitario nazionale riesce a garantire risposte efficaci e soddisfacenti», afferma Luigi Sinigaglia, presidente nazionale SIR.

«Il 33% dei pazienti, per esempio, vorrebbe tempi d’attesa più brevi per le visite mediche, gli esami diagnostici o gli interventi terapeutici. Preoccupano soprattutto i ritardi con i quali le patologie vengono individuate correttamente. Solo il 18% ha ricevuto una diagnosi entro 3 mesi dalla comparsa evidente della malattia. È una situazione che gli specialisti denunciamo da anni e per la quale chiediamo un intervento immediato delle istituzioni locali e nazionali. Molti di questi problemi potrebbero essere risolti grazie all’attivazione delle reti reumatologiche regionali in tutta la Penisola». Già le reti, tema di cui gli specialisti parlano da anni in effetti. Ma i risultati a oggi sono ancora poco tangibili.

Anche se, continua Sinigaglia, «abbiamo raggiunto l’obiettivo di avere più voce a livello centrale, probabilmente anche perché la politica si è accorta che questa eterogeneità di comportamento e di codifiche è dannosa, e lo è soprattutto per i pazienti. Ce ne sono tanti che trasmigrano da una Regione all’altra per le diverse etichette terapeutiche proposte da Regione a Regione. Fare delle iniziative interregionali potrebbe essere una soluzione per realizzare le reti, ma io credo che si debba lavorare di più a livello centrale per rendere più omogenea la situazione».

Veniamo ai nodi che impediscono il raggiungimento dell’obiettivo: quali sono quelli ancora da sciogliere affinché si arrivi alla costruzione di una rete reumatologica efficiente ed efficace, capace cioè di accontentare i bisogni dei malati e dei medici raggiungendo al contempo un contenimento dei costi per la spesa sanitaria? «Sono nodi di tipo organizzativo», risponde Sinigaglia, citando l’esempio della Lombardia.

«Siamo stati convocati su una tematica di base, che è cruciale per la realizzazione delle Reti: i criteri di riferimento dei medici di medicina generale ai centri di terzo livello. Sì, siamo ancora a questo punto: dobbiamo ancora far presente a chi governa il sistema che ci devono essere dei criteri di riferimento per l’invio da parte del medico di medicina generale al centro di riferimento. Questo è solo un primo seme di una rete, è vero. Ed è vero anche che la Regione Lombardia non ha creato nulla di concreto da questo punto di vista, probabilmente perché ci sono ancora tante cose da fare e quando si pensa a una patologia specifica bisogna lavorarci sopra per tanto tempo con un grosso sforzo organizzativo. Ciò non toglie che la creazione delle Reti in reumatologia è un argomento di assoluto interesse, ed è moderno. Poi, anche a livello ministeriale si ragione in termini di possibili reti. E non solo: anche nell’ambito della reumatologia c’è stata una proposta di legge, approvata nel giugno scorso, che faceva riferimento a questo tipo di intervento. Insomma, non dipende solo da noi. La volontà c’è, ma è molto difficile mettere attorno un tavolo da una parte i decisori e dall’altra i tecnici per andare avanti in questa direzione. Noi però andiamo avanti: crediamo nelle reti e crediamo che possano fare il bene dei pazienti oltre a essere uno strumento per la sostenibilità del sistema e a evitare ritardi diagnostici. Dobbiamo lavorare in questa direzione», sottolinea il presidente SIR. Roberto Gerli, presidente eletto SIR aggiunge: «Il nodo è che noi siamo uno stato federale dal punto di vista sanitario. L’unico modo che abbiamo in questo momento per raggiungere il traguardo delle reti è di andare al centro, e da lì vedere se riusciamo a imporre alcune prassi a livello regionale. Se la Regione Lombardia fa in un modo, il Veneto in un altro e il Lazio in un altro ancora è affidato tutto a degli amministratori regionali. E questo non facilita per niente l’arrivare a meta».


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