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Inquinamento ambientale associato ad incremento della severità di artrite reumatoide

Uno studio italiano, coordinato dal dott. Giovanni Adami dell'Università di Verona ha e pubblicato sul numero di ottobre della rivista Rheumatology ha dimostrato che l'inquinamento ambientale si associa ad una ingravescenza dell'artrite reumatoide (AR).

Nello specifico, lo studio ha dimostrato che l’esposizione a livelli elevati di agenti pollutanti ambientali si associa a livelli elevati di CRP e al maggior rischio di recidive di artrite e che questo “eccesso di rischio” si palesa già per livelli molto bassi di esposizione agli agenti inquinanti ambientali.

Razionale e disegno dello studio
“Gli agenti pollutanti prodotti dalla combustione di sostanze fossili – continuano i ricercatori – condividono alcuni elementi tossici con il fumo di sigaretta. I principali – ossido di carbonio (CO), ossido nitrico (NO), biossido di azoto (NO2), nitrossidi, particolato atmosferico (PM2,5, PM10), ozono) – se inalati, inducono la formazione di un tipo particolare di tessuto linfoide (iBALT= tessuto linfoide associati ai bronchi e inducibile), che è legato alla citrullinazione delle proteine, che stimola l’insorgenza di AR”.

Con l’intenzione di approfondire la possibile associazione esistente tra le sostanze pollutanti ambientali sopra citate, la severità dell’artrite infiammatoria e lo sviluppo di recidive, è stato implementato questo nuovo studio, che ha attinto ai dati relativi alle concentrazioni di inquinanti ambientali nella provincia di Verona e a quelli relativi a 888 pazienti con AR, sottoposti a 3.396 visite di controllo durante un follow-up della durata di 5 anni (dal 2013 al 2018).

Di questi, il 61,3% era sieropositivo agli autoanticorpi, mentre il 78,9% era di sesso femminile, con una durata media di malattia pari a 12,1 anni, un punteggio medio DAS28-CRP pari a 2,71 e livelli mediani di CRP pari a 4,71 mg/l.

Risultati principali
Dall’analisi condotta sulla coorte complessiva è emerso che i pazienti che non erano in remissione (con punteggi DAS28-CRP ≥2,6 e >3,2) e che mostravano livelli elevati di CRP (≥5 mg/l) erano frequentemente esposti a concentrazioni maggiori di agenti pollutanti ambientali  rispetto a quelli in remissione o ridotta attività di malattia e a quelli con livelli ridotti di CRP.
Non solo: i pazienti con CRP ≥5 mg/l erano esposti, in assoluto, a livelli di concentrazione più elevati di agenti pollutanti.

Lo studio ha dimostrato, inoltre, che le concentrazioni di CO, NO, NOx, PM10, PM2,5 e O3 erano più elevate nel bimestre precedente l’insorgenza di un episodio di recidiva di malattia.

Riassumendo
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come “..l'eccesso di rischio sia stato rilevato per livelli molto bassi di esposizione, anche al di sotto della soglia proposta per la protezione della salute umana”.

“Lo studio – ribadisce Adami – evidenzia come sia necessario ridurre l’inquinamento ambientale per migliorare gli outcome e gestire al meglio la patologia (AR) dalla quale sono affetti. E’ possibile, infatti, che un cambio della terapia o un decorso sfavorevole della patologia possano essere ascritti  proprio all’impatto negativo che l’inquinamento ambientale esercita sulla salute di questi pazienti”.

La rilevanza di questo lavoro, pertanto, risiede nel suggerire ai decisori pubblici sanitari e ai referenti per le politiche ambientali di ridurre le emissioni di gas nocivi e di particolato atmosferico a livelli persino maggiori di quelli attualmente raccomandati.

Nicola Casella


Bibliografia
Adami G et al. Association between environmental air pollution and rheumatoid arthritis flares. Rheumatology,
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