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La centralità del paziente nelle malattie reumatologiche rare. Se ne parla al XXI congresso del CReI

I medici del CReI e le Associazioni pazienti incontreranno le persone affette da Sclerodermia, Sindrome di Sjӧgren e Lupus sabato 12 maggio, a Roma, durante il XXI Congresso Nazionale del Collegio dei Reumatologi

Sclerodermia, Lupus e Sindrome di Sjӧgren: patologie molto complesse e “rare” di cui, ancora oggi, nonostante l’aumento dei casi in Italia e nel mondo, si continua a parlare ancora troppo poco. Malattie che, proprio a causa della loro rarità, sono spesso accomunate da una difficoltà nella diagnosi e una mancanza di informazione e sensibilizzazione da parte delle istituzioni e dello stesso personale socio-sanitario.

Proprio su questo, sabato 12 maggio, dalle ore 8.30 alle ore 15, all’interno del XXI Congresso Nazionale del Collegio dei Reumatologi (CReI), presso la Sala Tiepolo dell’Hotel NH Villa Carpegna di Roma, medici e associazioni pazienti avranno la possibilità di incontrarsi e confrontarsi direttamente con le persone affette da queste patologie rare ed i loro familiari.

«L’incontro medici-pazienti che abbiamo organizzato nell’ultima giornata di lavori del nostro XXI Congresso Nazionale, che tratterà di “Flogosi ed Autoimmunità”, sarà un momento di confronto importante sia per noi medici sia per i pazienti e i per i loro care givers che vorranno partecipare. Ci sarà una sessione dedicata al counseling pregravidico e gravidico nel LES, parleremo dell’importanza dell’aderenza terapeutica, della gestione di una malattia come la Sclerosi Sistemica in collaborazione con il paziente, e di tutto quello che ruota intorno alla Sindrome di Sjӧgren. La comunicazione e il rapporto di fiducia tra lo specialista e il malato sono requisiti essenziali per la presa in carico della persona che ha a che fare con una problematica di salute», premette Stefano Stisi, presidente del CReI.

«Quando una persona si ammala e si scopre affetta da una patologia rara la sua vita cambia radicalmente, è consapevole che la sua quotidianità non sarà più la stessa», afferma Ilaria Galetti, ePAG Representative in ReCONNECT (ERN). «Il ruolo centrale in questo scenario è quello ricoperto dal paziente, chi meglio di lui può esprimere i propri bisogni, necessità e criticità? E’ lui che dobbiamo ascoltare. Tramite le ERN (Reti di Riferimento Europee) stiamo dando vita a dei Working Plan che verranno inviati direttamente alla Commissione Europea sullo sviluppo delle Linee Guida da parte dei medici dove proprio i pazienti sono stati chiamati a identificare i loro bisogni non soddisfatti. Da un recente sondaggio è emerso che molti pazienti non sono nemmeno a conoscenza della funzione delle Linee Guida e questo non è accettabile. Maggiore è l’informazione e maggiore sarà la sicurezza del paziente nell’affrontare il delicato percorso che lo aspetta. Finalmente il ruolo dei pazienti è un ruolo attivo, non vengono più visti come persone da compatire e da curare ma come persone da ascoltare e con cui collaborare. Sono sicura che ne uscirà un lavoro fantastico».

Fondamentale per le persone affette da patologie rare rimane l’importanza della diagnosi precoce e la possibilità di rivolgersi alle Associazioni pazienti che sono a disposizione non solo dei pazienti ma anche dei loro famigliari. Quando ad una persona viene diagnosticata una patologia rara è già consapevole che nulla sarà più come prima ed è importante che anche le persone a lei vicine siano in grado di starle accanto nel migliore dei modi. E’ necessario che sia il paziente che i famigliari possano avere a disposizione informazioni corrette e veritiere che solo esperti possono fornirgli. Molto spesso, purtroppo, le persone si affidano con troppa superficialità alle notizie del web, rischiando così di prendere delle decisioni dettate da una non corretta informazione.

«Il contatto umano, rimane per noi di AILS, uno dei requisiti fondamentali. Il paziente non deve essere considerato come una persona malata ma solo ed esclusivamente come “persona” e come tale va tutelata. Continueremo a batterci per la diagnosi precoce e per un’informazione corretta e consapevole», dichiara Paola Muti, Consigliere e Coordinatore del Comitato Scientifico di AILS, Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia. «La Sclerosi sistemica ha una prevalenza compresa fra i 10 e i 20 casi per 100.000 persone, con un’incidenza di 1-2 casi per 100.000 abitanti per anno e colpisce per lo più il sesso femminile (F:M=10:1 nell’età compresa fra i 15 ed i 44 anni) con variazioni relative all’età ed all’etnia. Le persone devono imparare a conoscere questa patologia e a riconoscerla, rivolgendosi ad associazioni e a strutture competenti. Quando una persona affetta da sclerodermia decide di informarsi ed affidarsi alle giuste persone compie già dei passi molto importanti. Purtroppo da questa patologia non si guarisce, anzi è una malattia mortale. Per questo, come Associazione a tutela delle persone affette, abbiamo l’obbligo di tutelare la qualità della loro vita e di affiancarla in tutte le fasi del suo percorso. Mi auguro che si possa arrivare a creare una vera e propria sinergia tra le varie Associazioni, perché solo attraverso l’unione e la condivisione si potrà dar vita ad un cambiamento importante».

Malattie complesse, definite da molti pazienti “orfane” proprio a causa della difficoltà nel riconoscerle come “rare”, come nel caso della Sindrome di Sjӧgren, malattia poligenica, sistemica e degenerativa. «Avendo vissuto su me stessa il difficile percorso per giungere alla diagnosi di questa patologia ho deciso di fondare, circa 14 anni fa, questa Associazione proprio per dare voce a tutte le persone malate, affinché si arrivi ad una diagnosi precoce della malattia e diritto alla cura», dichiara Lucia Marotta, Presidente A.N.I.Ma.S.S. e psicopedagogista e anche lei affetta da circa 20 anni dalla Sindrome di Sjӧgren. «Parliamo di una malattia poligenica, quindi con una predisposizione genetica, ma anche di una malattia dai sintomi variegati non sempre facilmente individuabili e molto spesso anche caratterizzati da una diversa gravità. Tutto questo comporta una difficoltà diagnostica e terapeutica. Continuerò, inoltre, a battermi per il suo riconoscimento come “malattia rara” anche in Italia. Bisogna dare visibilità a questa patologia, è necessario investire anche attraverso la creazione di ambulatori dedicati polispecialistici. Come Associazione abbiamo appurato che ci sono stati enormi sprechi per il sistema sanitario nazionale a causa di ricoveri inadeguati in strutture non idonee per fronteggiare la diagnosi e il decorso della patologia. C’è ancora una conoscenza molto limitata; andrebbero organizzati corsi di aggiornamento e formativi per i medici di medicina generale e gli studenti universitari. Per sensibilizzare sulla malattia è stato prodotto il Corto “L’amante Sjӧgren”, il Film “La sabbia negli occhi” ispirato liberamente al libro omonimo e lo spettacolo teatrale “Monsieur Sjӧgren e il coraggio di una donna”.E’ una malattia che, anche se fino ad oggi è passata in secondo piano, può dare enormi soddisfazioni per la ricerca. Una malattia invisibile, non si vede esteriormente, ma crea una grave disabilità e una qualità di vita molto scadente con rischio di mortalità (5/8%) per linfoma non Hodgkin e con alta incidenza di linfoproliferazioni (44 volte alla popolazione normale). Non bisogna mai far passare in secondo piano la dignità di chi ne è affetto. Ci auguriamo che anche le Istituzioni,le Società Scientifiche e le Associazioni possano muoversi insieme per il bene di queste persone e che i malati di oggi possano sperare in una ricerca che li porti a migliorare la qualità della loro vita e a essere riconosciuti come persone portatori di una malattia senza dover elemosinare diritto alla cura, monitoraggio, riconoscimento parafarmaci e riabilitazione, assistenza e invalidità nelle commissioni INPS ».

Il ritardo della diagnosi risulta il principale ostacolo anche nel caso del LES, malattia cronica autoimmune diffusa in tutto il mondo che colpisce in prevalenza assoluta le donne. Solo in Italia si stima ne siano colpite più di 60.000 persone. Si tratta di una patologia sistemica, difficilmente diagnosticabile con tempestività se non da esperti specialisti e che se non trattata adeguatamente può portare a condizioni gravemente invalidanti. 

« Il LES è una patologia non rara, ma anzi diffusa, e tuttavia ancora non sufficientemente conosciuta ne’ dalle persone ne’, spesso, dagli stessi operatori sanitari», afferma Augusta Canzona, presidente Gruppo LES Italiano - ONLUS, Associazione di volontariato che aiuta continuativamente da trent’anni i malati di LES in tutta Italia. « Negli anni abbiamo raccolto e continuiamo a farlo centinaia di storie di pazienti che hanno dovuto far fronte, spesso con scarsissimi supporti, ad evoluzioni sfavorevoli della malattia e della propria qualità della vita. Nel 2015 abbiamo attivato, come Associazione Nazionale ed in piena autonomia scientifica, una serie di indagini mirate ad individuare con più precisione i ‘bisogni insoddisfatti’ dei pazienti e orientare meglio le nostre iniziative di tutela e sostegno. Agiamo da molti anni anche nell’ambito di reti sovranazionali, in Europa e nel resto del mondo. Il nostro obiettivo primario, su cui continueremo ad insistere, è la presa in carico globale del paziente. Quando si scopre di avere questa malattia la vita va completamente riprogettata, cambia completamente. Ma nonostante questo, ad oggi, la malattia e il suo grave impatto risultano presi non sufficientemente in considerazione dai decisori sociali e politici. Riteniamo quindi necessario insistere sull’importanza dell’informazione. Ricordo dunque che con lo slogan internazionale Lupus Knows No Boundaries, Il Lupus non conosce confini, il 10 maggio si celebra da ormai quindici anni il WORLD LUPUS DAY, giornata di sensibilizzazione mondiale durante la quale numerosissime associazioni di pazienti in tutto il mondo si dedicano ad iniziative coordinate con lo scopo di aumentare la visibilità di questa condizione e focalizzare l’attenzione delle cittadinanze e degli organismi governativi sul Lupus Eritematoso Sistemico, in tutte le sue implicazioni non solo medico-scientifiche ma anche sociali ed economiche ».

«Molto importante è anche prendere in considerazione il trattamento terapeutico come decisione condivisa», dichiara Daniele Conti, Vicepresidente AMRER, l’Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna. «Il raggiungimento di una decisione condivisa tra medico e paziente è il cavallo di battaglia per un miglior approccio terapeutico, come già riconosciuto dall’Eular. Gli step da affrontare sono diversi, si passa da un’informazione corretta alla discussione e valutazione delle terapie, fino a giungere alla decisione finale a cui poi seguirà a sua volta una rivalutazione del risultato ottenuto. Ovviamente questo percorso subirà delle modifiche in base alla tipologia di paziente in cura. E’ un momento molto importante che richiede impegno e tempo da parte di entrambi ma che porterà a un azzeramento delle controversie tra medico e paziente. Da non dimenticare il concetto di aderenza terapeutica che si muove di pari passo alla decisione condivisa».

Si parlerà anche dei trattamenti terapeutici con i farmaci biologici. Quali sono le priorità dei pazienti, riguardo a questo tema? «C’è bisogno di una presa in carico globale», esordisce Antonella Celano, Presidente APMAR, l’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare: «Il piano sulle cronicità nasceva proprio con questo intento ma, a oggi, ancora non è stato preso in considerazione da tutte le Regioni. Si parla tanto di empowerment, engagment ecc: parole piene di un significato bellissimo, ma nei fatti in cosa si concretano? Il paziente chiede al medico di scegliere per lui in scienza e coscienza, di potere avere tutta l’informazione necessaria per poter essere aderente alla terapia che gli viene proposta. Noi, persone con una malattia, desideriamo una vita normale. Come tutti». Silvia Tonolo, Presidente ANMAR, l’Associazione Nazionale Malati Reumatici, ha poi sottolineato l’importanza della condivisione di tutte le sfumature che può presentare la scelta della terapia per una persona con una malattia cronica. «Che si tratti di biosimilare o di biologico non è il punto: entrambi si sono rivelati validi e sicuri per un miglioramento dei sintomi. La problematica, a mio avviso, sta proprio nella comunicazione medico-paziente. È solo entrando davvero in empatia che si possono scardinare tutte le perplessità che gravano sull’aderenza terapeutica», ha affermato Silvia Tonolo.  

La centralità del ruolo del paziente e la corretta informazione, questa è la richiesta principale che accomuna tutte le Associazioni pazienti presenti sabato 12 maggio a Roma. Una richiesta che verrà soddisfatta e che vedrà esperti a disposizione della popolazione che vorrà richiedere informazioni su queste patologie di cui si parla veramente ancora troppo poco. La partecipazione è libera, fino a esaurimento posti.
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