Terapia

Artrite psoriasica attiva, con guselkumab oltre il 50 per cento dei pazienti ottiene clearance cutanea completa

In occasione dell’Innovations in Dermatology: Virtual Spring Conference 2021  sono stati presentati i risultati a lungo termine dello studio di fase 3 DISCOVER-2 di guselkumab, primo e unico inibitore dell'interleuchina (IL)-23 approvato nell'Unione Europea per il trattamento di adulti con artrite psoriasica (PsA) attiva o con psoriasi a placche (Pso) da moderata a grave.  I risultati mostrano come, in adulti con PsA attiva, i dati di clearance cutanea, di miglioramento dei sintomi articolari e di sicurezza, già evidenziati con guselkumab a 24 e 52 settimane, si mantengano fino a due anni (settimana 112). Inoltre, la significativa efficacia di guselkumab sulla funzionalità fisica, sulla relativa componente della qualità di vita, sulla risoluzione di entesite e dattilite, dimostrata nei pazienti alla settimana 24, si osserva fino alla settimana 100.

"L’artrite psoriasica attiva può essere una malattia cronica dolorosa e debilitante e molti pazienti sono ancora alla ricerca di un sollievo duraturo dei loro sintomi", afferma Philip J. Mease, M.D., Swedish Medical Center/Providence St. Joseph Health e University of Washington in Seattle, Washington, autore dello studio. “Questi dati mostrano come i benefici osservati con guselkumab nella PsA durino sino a due anni e sono una notizia positiva sia per i medici sia per i pazienti".

I risultati mostrano, alla settimana 100:

Miglioramento dei sintomi articolari
Tra i pazienti randomizzati, il 76 per cento di chi ha ricevuto 100 mg di guselkumab ogni quattro settimane e il 74 per cento di chi li ha ricevuti ogni otto settimane hanno ottenuto un miglioramento di almeno il 20 per cento nei criteri di risposta dell'American College of Rheumatology (ACR 20) (utilizzando NRI).

Clearance cutanea completa
Nei pazienti con interessamento cutaneo clinicamente significativo al basale, il 59 per cento di chi aveva ricevuto guselkumab ogni quattro settimane (q4w) e il 53 per cento di quelli con somministrazione ogni otto settimane (q8w) hanno ottenuto clearance completa (Psoriasis Area Severity Index [PASI] 100; utilizzando il criterio di non-responder imputation [NRI], che considera come non-responder i soggetti con dati mancanti).

Progressione radiografica
Dalla settimana 52 alla 100 sono stati osservati bassi tassi di progressione radiografica del danno articolare, sia nei pazienti in trattamento con guselkumab ogni quattro settimane (0,75) sia ogni otto settimane (0,46); in entrambi i casi, in misura numericamente inferiore rispetto ai tassi osservati nelle 52 settimane precedenti (1,06 per chi era in cura ogni quattro settimane; 0,99 per chi lo era ogni otto settimane). Nel gruppo di pazienti che, alla settimana 24, sono passati da placebo a guselkumab ogni quattro settimane, le variazioni medie dei punteggi di van der Heijde-Sharp (vdH-S) sono state di 1,12 dalla settimana 0 alla 24 quando erano in trattamento con placebo, e di 0,34 dalla settimana 24 alla 52 e 0,13 dalla settimana 52 alla 100, quando trattati con guselkumab ogni quattro settimane; a prova che si sono ottenuti ulteriori miglioramenti anche durante il secondo anno di trattamento in questo gruppo di pazienti.

Persistenza in trattamento
I robusti tassi di risposta articolare e cutanea e i miglioramenti medi rispetto al basale nelle misure di outcome si sono mantenuti per due anni e circa il 90 per cento dei pazienti randomizzati a guselkumab ogni quattro o otto settimane ha continuato il trattamento fino alla settimana 100.

Sicurezza
Non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza nelle valutazioni condotte fino alla settimana 112. La sicurezza di guselkumab in pazienti con PsA attiva a due anni è paragonabile a quella riscontrata dopo sei mesi e un anno e generalmente in linea con quella rilevata nel trattamento di pazienti con psoriasi a placche (Pso) da moderata a grave. Tra i pazienti che hanno ricevuto guselkumab ogni quattro o otto settimane e tra quelli passati alla settimana 24 da placebo a guselkumab ogni quattro settimane, si sono manifestati, rispettivamente, 5,2, 6,1 e 6,0 eventi avversi gravi per 100 pazienti-anno e 1,0, 2,2 e 2,6 infezioni gravi per 100 pazienti-anno. Un paziente del gruppo passato da placebo a guselkumab ogni quattro settimane ha avuto un'infezione opportunistica, mentre nessun paziente trattato con guselkumab ha manifestato reazioni anafilattiche/malattia da siero o tubercolosi attiva.

In aggiunta, i risultati hanno mostrato che il 56 per cento dei pazienti trattati con guselkumab ogni quattro settimane e il 55 per cento dei pazienti trattati con guselkumab ogni otto settimane hanno ottenuto un miglioramento di almeno il 50 per cento nel punteggio ACR (utilizzando NRI).

Tra i pazienti che avevano Pso clinicamente significativa al basale, il 62 per cento dei pazienti trattati con guselkumab ogni quattro settimane e il 55 per cento dei pazienti trattati con guselkumab ogni otto settimane hanno ottenuto una clearance cutanea completa secondo l’Investigator Global Assessment (IGA), ottenendo 0 come punteggio (utilizzando NRI).

Guselkumab è il primo ed unico trattamento approvato sia per gli adulti con Pso a placche da moderata a grave sia per gli adulti con PsA attiva, che inibisce selettivamente IL-23, una citochina che ha un ruolo chiave nella risposta immunitaria infiammatoria associata ai sintomi di queste malattie autoimmuni.

Guselkumab è stato approvato, a novembre 2017, dalla Commissione Europea per il trattamento di pazienti adulti con Pso da moderata a grave che sono candidati ad una terapia sistemica e, a novembre 2020, per il trattamento della PsA attiva in pazienti adulti che hanno avuto una risposta inadeguata o che hanno mostrato intolleranza a una precedente terapia con farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD). L'approvazione per la PsA si è basata sui risultati degli studi DISCOVER-1 e DISCOVER-2, che hanno mostrato che guselkumab ha raggiunto l'endpoint primario di risposta ACR20 a 24 settimane. I risultati completi degli studi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet.


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