Covid-19: quali insegnamenti per il Ssn? La parola ai tecnici

di Antonela De Minico

È tempo di porsi la domanda: cosa ha imparato il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) da questa pandemia? In uno dei webinar “Looking forward” organizzato da Altems, l’Alta scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, risponde Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva presso la stessa Università, ideatore nel 2002 di un osservatorio sullo stato di salute dei sistemi sanitari e consigliere per le relazioni dell’Italia con gli organismi sanitari internazionali alle prese con l’emergenza coronavirus oltre che  tra i consulenti scientifici del Ministero della Salute.

«Per guardare al futuro, bisogna guardare al passato. Alle rare e analoghe circostanze in cui si sono verificate situazioni simili», premette Ricciardi. Non avendo i dati dell’antichità, fermiamoci a quelli del Secolo scorso, all’ondata di influenza spagnola. Rallentati i contagi, dichiarate le persone guarite, ci fu una cerimonia di abbandono delle mascherine, risollevando un po’ gli entusiasmi di chi si era trovato a vivere in costrizione e difficoltà economiche, come è successo durante l’emergenza Covid. Peccato, però, che da lì a poco l’ondata di influenza spagnola si ripresentò. «La seconda ondata fu peggiore della prima. E questo fu deleterio, non solo per gli effetti del virus sul corpo, ma anche per quelli che ebbe sulla psiche delle persone. Quando si pensa di avere un problema risolto e poi si scopre che non è così, quello che può succedere può avere conseguenze molto forti», fa notare Ricciardi.

Non avendo la sfera di cristallo e non potendo prevedere cosa accadrà in futuro, quindi, la prima lezione da imparare è che non dobbiamo abbassare la guardia. «Se paragoniamo questo nuovo coronavirus alla SARS e alla MERS che ci hanno colpito nel 2002 e nel 2015, vediamo che ha caratteristiche completamente diverse. Perché se la SARS e la MERS erano contagiose solo se si ci si trovava a contatto con degli infetti, il Covid non si comporta così: può essere trasmesso da soggetti sintomatici, paucisintomatici, asintomatici, polisintomatici e persino da soggetti dichiarati guariti. Il virus è sempre lì, e quello che ci ha insegnato è che si è comportato allo stesso modo in tutti i Paesi, mostrando la stessa curva epidemica».

Magari potrà diventare meno aggressivo con l’aumento delle temperature, o del tasso di umidità, anche se, osserva Ricciardi, il Brasile che ha le stesse temperature che noi abbiamo nei mesi che vanno da giugno ad agosto ci sta dimostrando che le cose potrebbero non andare esattamente in questo modo. «C’è un bias ottimistico nelle persone, che porta a vedere noi medici di sanità pubblica come delle Cassandre, quando in realtà mettiamo a confronto i dati e in base a questi cerchiamo di suggerire ai decisori le decisioni più adeguate da prendere per tutelare la salute di tutti».  

La seconda lezione appresa è che la regionalizzazione del SSN, così come è strutturato ora, non è stato in grado di dare una risposta adeguata ai bisogni di salute e di sicurezza dei cittadini. «Quando ci si ammala e si è costretti a viaggiare per essere curati, perché si deve raggiungere una struttura che nella propria Regione non c’è, è qualcosa che altera profondamente lo stato di benessere globale di una popolazione», sottolinea Ricciardi. Aggiungendo che questa pandemia ha colpito Regioni “disperate” che avevano perso migliaia di operatori, che avevano subito forti tagli alla sanità pubblica, ritrovandosi senza l’adeguato numero di personale per fare fronte a un’emergenza di tale portata.

«I servizi erano ridotti al lumicino. Da qui l’esplosione della spesa sanitaria privata per chi se la poteva permettere, che in pochissimo tempo è diventata di poco inferiore a quella degli Stati Uniti. Questo succedeva già in condizione di pace e non di pandemia, e ha provocato una enorme disomogeneità, con il conseguente indebolimento della struttura centrale che dovrebbe giocare un ruolo importante dato che è quella che dovrebbe sostenere e supportare i decisori locali. Che, da soli, non hanno la forza e la capacità di studiare problemi complessi di questione sanitaria e di metterle a disposizione. Ma il problema è che oggi, questo aspetto, sancito dalla Costituzione, genera una frammentazione decisionale che è propulsiva di disuguaglianze e disomogeneità. In tempi di pandemia, in tempi di guerra al virus, poi, produce una variegata e frammentata produzione di decisioni mentre i virus, non essendo a conoscenza delle differenze regionali, vanno avanti».

L’ultima decisione di riaprire tutto, lasciando alle Regione le decisioni, continua Ricciardi, «non fa altro che confermare che questa lezione noi non l’abbiamo imparata. Nel momento in cui il virus si muoverà nelle maglie delle burocrazie regionali, vedremo delle situazioni eterogenee che potrebbero espandersi su tutto il territorio nazionale. La mobilità, in fondo, non si può limitare per sempre, prima o poi ricomincerà. La preoccupazione è che le lezioni non siano state imparate e siamo destinati a riviverle. Il problema è che prima queste ripetizioni le rivivevamo a distanza di qualche anno, ora il rischio è di riviverle a distanza di pochi mesi. E non so quanto questo sarebbe accettabile dall’opinione pubblica senza reazioni forti».  

Ci sono anche aspetti positivi, sostiene Ricciardi, e riguardano il piano futuro e le risorse. «Il Ministro Speranza negli ultimi mesi ha recuperato risorse che erano state tagliate in precedenza. Già dalla finanziaria dell’anno scorso erano stati recuperati 2miliardi, e quest’anno, in pochi mesi, si è arrivati ad avere fondi per 8,5mld, da mettere a disposizione del SSN per rafforzarlo». I pronto soccorso sono stati in molti casi i luoghi dove si sono diffusi i contagi all’inizio dell’epidemia: in molte Regioni non erano stati organizzati flussi differenziati per i pazienti contagiosi e non. «Questo aspetto deve essere corretto dalle Regioni con i fondi destinati a loro già per settembre, ottobre, quando ricomincerà la stagione autunnale e invernale e ricominceranno i virus influenzali, non solo i casi Covid presumibilmente. I pronto soccorso dovranno essere adeguati. Ma non solo, quelle risorse serviranno ad assumere personale».

L’Italia, continua Ricciardi, negli ultimi 20anni è sempre stata maglia nera nella lotta alle infezioni sia in ambito comunitario sia ospedaliero. Mentre altri Paesi miglioravano perché prendevano in considerazione piani sia all’interno degli ospedali (per le infezioni correlate all’assistenza) sia in comunità, se guardiamo la carta geografica dell’Italia è diventata sempre più rossa. La lotta all’antibiotico-resistenza l’ha fatta sempre troppo tardi e male e quando si scatena l’opportunità per un germe di diffondersi trova un terreno particolarmente fertile. C’è una scarsa attenzione alla cosiddetta igiene ospedaliera, e basta osservare alcuni comportamenti negli ospedali italiani che in altri Paesi sarebbero sanzionati con il licenziamento.

«C’è chi va con la divisa chirurgica al bar o alla mensa, per poi rientrare in sala operatoria. In Svizzera questo non succederebbe, si sarebbe immediatamente licenziati. Ci sono atteggiamenti semplici da adottare, come il lavaggio corretto delle mani. Altra controprova della scarsa attenzione al problema è la vaccinazione degli operatori sanitari: fa l’antinfluenzale solo il 20%». Ma l’antibiotico resistenza è data anche dal fatto che in molti allevamenti si somministrano antibiotici anche quando non sono necessari. In sostanza, per Ricciardi le infezioni in Italia hanno un terreno facile. Anche questa dovrebbe essere una lezione da imparare per il futuro. Lo faremo? «Non lo so, io ho sempre l’impressione che passato il pericolo immediato, la memoria diventa labile e si ricomincia a comportarsi come prima».  

Un piano pandemico va aggiornato. «Le Regioni, nella gestione della pandemia, hanno messo in campo quello che avevano, perseverando nel loro modello organizzativo che è stato messo alla prova in una condizione estrema, palesando ciò che non era adatto a fronteggiare una condizione di epidemia e tanto meno di pandemia. Quando c’è un’epidemia, la capacità di risposta non è dell’ospedale, ma si deve limitare l’evoluzione dell’epidemia in modo più prossimo a dove vive il soggetto. Questo è l’aspetto vincente. Quando lo si fa velocemente, allora si è vincenti. Le Regioni italiani che hanno un modello ospedalo-centrico, come la Lombardia per esempio, possono avere una diffusione dell’epidemia. Va rafforzata la capacità di risposta territoriale. Si sta imparando? A ora mi pare di no, non vedo attuati questi meccanismi correttivi che ci potrebbero evitare una seconda ondata in autunno», spiega Ricciardi.

Il modello centralista avrebbe funzionato meglio? «Non è centralizzando tutto che si risolve il problema. Bisogna trovare un modello in cui il centro e la regionalizzazione funzioni. Va trovato un nuovo equilibrio, rafforzando anche il centro. L’ISS, l’AIFA vanno rafforzate e magari va aggiunta una struttura di Health Technology Assessment. Nessuno vuole ritornare a una centralizzazione spinta che non potrebbe nemmeno essere sostenuta sia tecnicamente che dal punto di vista di governance».
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