Programmare la riapertura dell'assistenza reumatologica dopo il Covid: questa è la nostra battaglia

di Stefano Stisi e Gilda Sandri

In questi giorni da più parti si assiste ad una timida ripresa dell’offerta reumatologica presso gli ospedali ed il territorio italiani dopo la tempesta Covid-19. Anche l’assistenza reumatologica come quella di tutte le altre branche mediche o chirurgiche non direttamente coinvolte nella battaglia contro il Coronavirus, ha avuto un lungo fermo di circa due mesi. Sessanta giorni suppergiù in cui sono scomparse le urgenze/emergenze e la cronicità di tutto ciò che non era Covid. “In guerra è così”, abbiamo sentito dire da qualche amministratore.

E’ vero. Però noi pensavamo che in fondo quella finora affrontata è stata solo la prima battaglia (ci augureremmo tanto possa essere l’unica) di una guerra più lunga contro questo maledetto virus.

“Nel lessico militare, una battaglia indica un combattimento fra due o più parti organizzate militarmente che cercano di avere ragione l'una delle altre durante una guerra all'interno di una campagna militare ed è un mezzo per sviluppare una più vasta strategia militare (Wikipedia)”.

Abbiamo anche detto e sentito dire “Questa non è la nostra battaglia”, e questo ha la sua logica da condividere, ma la battaglia a volte non la scegliamo noi quando l’avversario viene ad aggredirci in casa e veniamo colti di sorpresa e impreparati come nel caso della nostra frammentata Sanità regionale italiana. Ci preme e ci dispiace sottolineare quanto ha commentato l’OMS a proposito di come sia stata affrontata l’emergenza in alcuni Paesi come l’Italia: “Il periodo che ha preceduto lo straripamento planetario dell’epidemia è stato consumato con sottovalutazione, fino all’omissione, di azioni preventive e di immediato contrasto per la propensione culturale ad agire, more solito, sugli effetti prodotti piuttosto che sulle cause…”.

Ognuno di noi, quindi, si è comportato singolarmente, o in gruppo, come un milite per il proprio ruolo nell’ospedale e nella  società. E questo è quanto è accaduto da noi. Chi si trovava a lavorare in ospedale ha cercato di tamponare nel miglior modo possibile l’avanzata del virus, improvvisandosi o meno a fare attività da infettivologo, pneumologo ed in qualche raro caso di rianimatore. Qui ci sovviene una famosa frase attribuita a Sir Wiston Churcill “A volte fare del proprio meglio non è abbastanza; dobbiamo fare ciò che è necessario”. E soprattutto ora in un momento di apparente remissione epidemiologica dobbiamo capire che ciò che abbiamo affrontato nella fase 1 contro il Covid è solo la prima battaglia di una guerra - non ancora vinta - molto più lunga. Non parliamo degli aspetti sociali, del lockdown e della necessaria riapertura, bensì della più vasta strategia quasi militaresca che necessitiamo adottare per fare ciò che ora è necessario per i nostri pazienti. Perciò ora, come suggerisce Churcill, dobbiamo fare ciò che è necessario!

Programmare la riapertura dell’assistenza reumatologica nei nostri luoghi di lavoro! Questa è la nostra battaglia ora.

Quella affrontata in qualche modo finora non era la nostra battaglia, ma più specificamente la nostra collaborazione alla resistenza degli ospedali all’emergenza Covid. Ora dobbiamo affrontare tutti insieme un cambiamento assistenziale necessario ed improrogabile.

Come tutti i momenti di cambiamento è quindi una grande opportunità per tutti noi. E la vinceremo se sapremo mettere insieme tutti i pezzi di un complesso mosaico lasciati disordinatamente ora in terra. La vinceremo se sapremo dare risposte logiche, efficaci e veloci ad un cambiamento che detta tempi stretti e richiede azioni decise. La vinceremo se sapremo far rispettare dai nostri amministratori i diritti alla salute dei pazienti non-covid e reumatici in particolare. La vinceremo se sapremo far collaborare i medici di medicina generale nel filtrare le reali esigenze che necessitano di un monitoraggio o di una prima visita specialistica. La vinceremo se sapremo dare risposte a quesiti che si iniziavano a intravvedere in lontananza e che sono stati proiettati oggi velocemente ai nostri occhi dall’emergenza Covid.

La Reumatologia, intesa come branca autonoma da altre, è una branca del prossimo ospedale post-Covid? L’offerta territoriale è sufficiente per dare risposte efficaci all’epidemiologia ed al monitoraggio delle malattie reumatologiche? I nostri utenti, noi e le nostre postazioni di lavoro, sono pronti ad utilizzare i mezzi informatici per il controllo dell’utenza cronica evitando un tight control a rischio di esposizione al contagio virale? Non dimentichiamo e ricordiamo con forza che le malattie reumatiche sono invalidanti: compromettono la vita dei pazienti sotto più aspetti, da quello professionale a quello relazionale. Intraprendere quanto prima un percorso di cura con terapie efficaci, non per forza ad alto costo, grazie a una diagnosi precoce, quindi, è un’altra necessità. Che non è solo del malato e dei suoi care givers, ma lo è per la collettività tutta, con ricadute positive anche sulla spesa del SSN, permettendo così di riservare i farmaci ad alto costo a quei pazienti che hanno avuto diagnosi tardiva, o a chi ha una malattia molto aggressiva.

Sulla diagnosi precoce, però, ci sono ancora delle defezioni, dovute soprattutto a un invio tardivo all’esperto di riferimento, il reumatologo. Organizzare corsi di formazione continua con i medici di medicina generale, quindi, è un altro obiettivo da perseguire, in questo momento da chiedere con maggior insistenza per creare rete e accessi più selezionati per non disperdere le risorse, rimarcando inoltre che oltre alla terapia giusta data al momento giusto, al paziente giusto e al costo giusto, c’è la presa in cura “a tutto tondo” dell’individuo ammalato.

Lasciando ad ognuno le risposte ai tanti quesiti e ai direttori e responsabili dei singoli servizi le decisioni da prendere, noi ci permettiamo solo darvi la nostra opinione di carattere generale: se non ci pensiamo noi reumatologi a proporre la strategia, in questo momento non la riceveremo da altri.

Sperando tanto di sbagliarci. Ad maiora.
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