Malattie reumatiche

Artrite, baricitinib promettente in fase IIb contro segni e sintomi della malattia

Baricitinib, un nuovo inibitore di JAK1 e JAK2 attivo per via orale, sviluppato da Eli Lilly e Incyte Corporation ha dimostrato di mantenere la sua efficacia nel ridurre i sintomi dolorosi dell’artrite reumatoide (AR) per almeno 24 settimane nell’estensione di uno studio di fase IIb, denominato JADA, presentato in occasione del recente congresso dell’American College of Rheumatology (ACR) a Washington.

Inoltre, un sottostudio di risonanza magnetica ha mostrato che le due dosi più alte tra le quattro testate dell’inibitore hanno contribuito a ridurre il danno articolare.

Nel giugno scorso le due aziende hanno presentato i risultati a 12 settimane dello studio in occasione del Congresso della European League Against Rheumatism’s (EULAR); al congresso ACR, invece, sono stati ora illustrati i dati a 24 settimane dell’estensione, che è tuttora in corso.

Lilly ha inoltre reso noto di aver già iniziato la fase III, forte dei dati positivi ottenuti in fase II. Sono previsti quattro studi di fase III III in cui si valuteranno sicurezza ed efficacia di baricitinib 2 mg e 4 mg una volta al giorno su pazienti non trattati in precedenza con metotrexate (MTX) o farmaci biologici per infusione e anche su pazienti già trattati con biologici, che costituiranno parte integrante del dossier registrativo del farmaco. I pazienti che completeranno uno qualunque di questi quattro trial potranno poi partecipare a un quinto studio di estensione a lungo termine.

Lo studio presentato ora all’ACR ha coinvolto 301 pazienti con AR lieve o moderata che non rispondevano in modo adeguato a MTX. I partecipanti sono stati trattati in rapporto 2:1:1:1:1 con placebo o uno tra quattro diversi dosaggi di baricitinib (1, 2, 4 oppure 8 mg once-daily) per 12 settimane. I pazienti assegnati ai 2, 4 e 8 mg hanno continuato il trattamento in cieco per altre 12 settimane, mentre quelli inizialmente assegnati al placebo o a baricitinib 1 mg sono stati nuovamente assegnati a due gruppi esplorativi, uno trattato con 4 mg/die e l’altro con 2 mg/die per altre 12 settimane e sono stati esclusi dall’analisi primaria dei risultati a 24 settimane.

Dopo 12 settimane di trattamento, nei pazienti trattati con l’inibitore si sono viste differenze significative rispetto al placebo nella percentuale di soggetti che hanno raggiunto l’ACR20, l’ACR50, l’ACR70, un DAS28CRP < 2,6 e un CDAI≤ 2,8, e nei punteggi del DAS28CRP, dell’HAQ-DI e del CDAI. A 24 settimane, nei gruppi trattati con 2, 4 e 8 mg/die si è osservato un mantenimento o addirittura un miglioramento di tutte le misure di efficacia.

Per esempio, nel gruppo trattato con il dosaggio più elevato, la risposta ACR20 è stata del 78% a 12 settimane e 73% a 24 settimane, mentre nel gruppo 4 mg è stata rispettivamente del 75% e 78% e nel gruppo 2 mg 54% (differenza, questa, non significativa rispetto al placebo) e 63%.

Inoltre, con tutti e tre i dosaggi si è osservato miglioramento sia della risposta ACR50 sia dell’ACR70 a 24 settimane rispetto alle percentuali ottenute dopo 12 settimane.

"Questi dati sono importanti perché, nel loro insieme, mostrano che i pazienti ottengono un miglioramento già dopo 2 settimane di terapia, miglioramento che si mantiene fino alla settimana 24" afferma il primo autore dello studio, Mark Genovese, condirettore della divisione di immunologia e reumatologia presso la Stanford University di Palo Alto, in California, in un comunicato stampa congiunto delle due aziende.

"Degno di nota è anche il fatto che la percentuale di pazienti che hanno raggiunto l’ACR50 e l’ACR70 è aumentata nel tempo e che non sono emersi risultati inattesi relativi alla sicurezza con il proseguire del trattamento" aggiunge Genovese.

Nel sottostudio su 154 pazienti sottoposti a risonanza magnetica si è osservato un miglioramento statisticamente significativo dei punteggi complessivi sia dell’infiammazione sia del danno articolare con i due dosaggi più alti dell’inibitore (4 mg e 8 mg) dopo 12 settimane rispetto al placebo e l’effetto si è mantenuto fino a 24 settimane.

Baricitinib appartiene a una nuova classe di farmaci, quella degli inibitori delle Janus chinasi (JAK), e in particolare è un inibitore selettivo delle chinasi JAK1 e JAK2. Il farmaco è già entrato in fase III come potenziale trattamento per l’AR ed è al momento in fase II anche come possibile terapia per la psoriasi e la nefropatia diabetica.

I Jak inibitori, attivi per via orale, puntano a competere con i farmaci iniettabili contro l’AR, che attualmente dominano il mercato. Il capostipite della classe, tofacitinib, sviluppato da Pfizer, ha avuto il via libera dell’Fda giusto la settimana scorsa ed il primo DMARD orale approvato da 10 anni a questa parte contro la malattia.

Per competere davvero con i biologici blockbuster infusionali, come ad esempio adalimumab e infliximab, gli inibitori Jak dovranno però dimostrare di poter arrestare o, quanto meno, rallentare il deterioramento articolare e alleviare i sintomi.

M.C. Genovese, et al. 24-Week Results of a Blinded Phase 2b Dose-Ranging Study of Baricitinib, an Oral Janus Kinase 1/Januse Kinase 2 Inhibitor, in Combination with Traditional Disease Modifying Antirheumatic Drugs in Patients with Rheumatoid Arthritis. ACR 2012; abstract 2487.
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Alessandra Terzaghi
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