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Lupus, biomarcatori del complemento maggiormente predittivi di malattia rispetto ai marker tradizionali

Un test attualmente disponibile negli Usa che misura i biomarcatori stabili di attivazione delle proteine del complemento si è dimostrato molto utile nel diagnosticare il lupus nel setting della pratica clinica reale. Lo dimostrano i risultati di uno studio pubblicato il mese scorso su Lupus Science & Medicine.

Razionale e disegno dello studio
La diagnosi di lupus è ancora oggi difficoltosa nonostante la disponibilità dei criteri di classificazione stabiliti dal gruppo SLICC (the American College of Rheumatology and the Systemic Lupus International Collaborating Clinics) e nonostante l'esistenza di vari sistemi a punteggio per valutare sia l'attività di malattia che il danno d'organo.

I test convenzionali di laboratorio basati sulla determinazione dei livelli delle proteine del complemento C3 e C4 sono da tempo stati incorporati nei criteri diagnostici tradizionali, ma hanno una scarsa sensitività.

Non solo: molte delle prime manifestazioni del lupus sono aspecifiche e si sovrappongono a quelle di altre patologie del tessuto connettivo, sollecitando la ricerca alla messa a punto di test basati su biomarcatori più specifici.

Uno di questi test è il test AVISE, che misura alcuni prodotti di attivazione del complemento legati alle cellule, come C4d legato agli eritrociti (EC4d), C4d legato alle cellule B (BC4d) e C4d legato alle piastrine.

Il test in questione è in grado di differenziare il LES da altre patologie del tessuto connettivo con una sensitività compresa nel range 56%-72% e una specificità nel range 80-98% e di differenziare pazienti con LES da individui sani con una sensitività del 60-81% e una specificità del 91-100%.

L'assenza di studi che hanno valutato le performance del test nella real life ha sollecitato l'implementazione di questo nuovo studio, di natura osservazionale retrospettiva, che ha considerato pazienti sottoposti a test nel triennio 2014-2016.

A tal scopo, i ricercatori hanno preso in considerazione i dati relativi a 117 pazienti (in maggioanza di sesso femminile e con un'età media pari a 53 anni).

- La diagnosi presunte di malattia al basale era così distribuita:
- malattia del tessuto connettivo nel 40,2% dei pazienti
- artrite reumatoide nel 21,4% dei pazienti
- altre patologie autoimmuni nel 21,4% dei pazienti
- altre condizioni cliniche (es: fibromialgia e artrosi nel resto dei casi)

Risultati principali
Dall'analisi dei dati è emerso che il 65% di quelli risultati positivi a questo test hanno poi ricevuto diagnosi di LES 2 anni più tardi. Per contro, tra quelli sieronegativi, solo il 10,3% ha sviluppato LES dopo 2 anni (p<0,0001).

La diagnosi di malattia, inoltre, è variata dal basale a 2 anni nell'80% dei pazienti risultati postivi al test AVISE rispetto al 28,9% di quelli risultati negativi (p<0,0001).
I pazienti che risultavano positivi al test all'inizio dello studio hanno soddisfatti in misura maggiore i criteri SLICC di malattia sia al basale (3,8 vs 1,9, P=0,001) che a 2 anni (4,5 vs 2,1, P<0,0001).

I ricercatori hanno anche messo a confronto l'accutatezza predittiva del test AVISE con quella dei biomarcatori tradizionali usati nel LES.
Da questo confronto è emerso che bassi livelli di C3 e C4 e livelli elevati di anticorpi dsDNA mostravano una specificità >90% e una sensitività <20%. Per contro, la positività al test AVISE predittiva di diagnosi di lupus dopo 2 anni ha mostrato una specificità del 93%, una sensitività del 57%, un valore predittivo positivo del 65% e un valore predittivo negativo del 90%.

Passando all'analisi di regressione logistica che ha messo a confronto il test AVISE con diversi marker di malattia convenzionali, la positività al test al basale è risultata associata con una diagnosi confermata di LES a 2 anni, con un odd ratio pari a 10,7 (IC95%:2,6-44,9, P=0,001).

Risultati positivi al test hanno anche aiutato a predire il danno d'organo a 2 annil, con il 90% dei sieropositivi che ha riportato punteggi superiori a 0 dell'indice di danno d'organo rispetto a quelli sieronegativi (p=0,005).

Quanto alle componenti specifiche del test AVISE, i ricercatori hanno notato che i livelli di BC4d erano più strettamente associati con la progressione di malattia. Al basale, i pazienti che già presentavano danno d'organo mostravano livelli significativamente più elevati di BC4d.

Le implicazioni (e i limiti) dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come già studi precedenti a questo avessero documentato la capacità del test AVISE di migliorare la sensitività e la specificità della diagnosi di LES tra i casi vs. controlli.

Ma la peculiarità del nuovo studio sta nell'aver dimostrato che la positività al test non solo è in grado di predire lo sviluppo di malattia lupica a 2 anni, ma si connota per una specificità/sensitività uguali o superiori a quelle dei biomarcatori tradizionali.

Ciò detto, gli stessi autori su sono affrettati a suggerire prudenza nell'interpretazione dei risultati, in quanto dallo studio è emerso anche che alcuni pazienti inizialmente sieronegativi hanno sviluppato successivamente lupus.

“Se dunque – puntualizzano i ricercatori – il test AVISE è in grado di migliorare il processo di decisione clinica, è ancora importante contestualizzare i risultati alla luce della presentazione clinica del paziente che si ha di fronte”...ricordando anche alcuni limiti metodologici intrinseci del lavoro, quali la ridotta numerosità del campione di pazienti e il disegno retrospettivo.

E' auspicabile che, alla luce di questi risultati, vengano condotti ulteriori studi aventi l'obiettivo di saggiare le performance di questo test nella predizione delle recidive e dell'attività di malattia, meglio dimensionati e di natura prospettica.

Nicola Casella

Bibliografia
Liang E, et al "Utility of the AVISE connective tissue disease test in predicting lupus diagnosis and progression" Lupus Sci Med 2020; DOI: 10.1136/lupus-2019-000345.
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