Malattie reumatiche

Milano, workshop in Regione per fare il punto sulle malattie reumatiche

Le poliartriti sono un gruppo di malattie reumatiche infiammatorie croniche che comprendono l'artrite reumatoide, l'artrite psoriasica e le spondiliti. È su queste malattie, la cui causa è ignota, ma la cui evoluzione può essere invalidante, che si confrontano esperti e politici, nel corso del Workshop che si apre a Milano lunedì 9 giugno, organizzato da Motore Sanità, con il patrocinio di Regione Lombardia, Parlamento Europeo, Federsanità Anci e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, per ragionare sulle modalità cliniche oggi più efficaci e sostenibili per meglio curare i pazienti con poliartrite.

I temi caldi di questa giornata sono stati il nuovo PDTA – Percorso diagnostico Terapeutico Assistenziale, il ritardo diagnostico della malattia e il ritardo di inizio di una specifica terapia anti-reumatica, gli elevati costi diretti per l’impiego dei farmaci biologici (che spingono a pensare a soluzioni alternative), la carenza dei professori di ruolo di Reumatologia e di una adeguata formazione nel campo.
L’attenzione si focalizza inoltre sul mondo femminile, dove si registra una importante incidenza della malattia, in particolare dell’artrite reumatoide: gli esperti si appellano perciò ad un trattamento efficace e ad una diagnosi precoce per migliorare la qualità della vita delle donne. Ma non solo. L’attenzione degli esperti è rivolta a nuove terapie contro quei farmaci che possono ridurre la fertilità nelle donne affette da artrite reumatoide.

In questo scenario in trasformazione esiste tuttavia una buona notizia: grazie all’avvento dei farmaci biotecnologici migliora la qualità della vita dei pazienti.
 
Artrite reumatoide: nuovo PDTA.

In Lombardia si stima che siano 30.000 i soggetti con artrite reumatoide, una malattia infiammatoria cronica, degenerativa, di origine autoimmune.  La malattia si manifesta più frequentemente tra i 40 e i 60 anni di età prediligendo il sesso femminile, comportando un notevole impatto sulla qualità di vita, sulla capacità lavorativa dell’individuo, oltre che una riduzione dell’aspettativa di vita.

«Come già evidenziava il “Piano Socio Sanitario Regionale 2007-2009”, diagnosi e terapia precoce sono fondamentali per un migliore esito clinico e rallentare la progressione della malattia - spiega Maurizio Bersani, Direttore Generale Salute della Regione Lombardia -. Dall’analisi dei costi sanitari dei pazienti classificati come AR, la spesa farmaceutica rappresenta il maggior costo per il trattamento della malattia (52,1%). Con il Decreto 4252 del 21/05/2014 Regione Lombardia ha definito il percorso diagnostico terapeutico (PDTA) per la gestione integrata del paziente affetto da artrite reumatoide, con la finalità di migliorare le condizioni di salute e la qualità di vita degli assistiti, attraverso la messa a disposizione dei diversi attori coinvolti di uno strumento clinico e assistenziale condiviso e aggiornato rispetto alle evidenze scientifiche. Ciò anche allo scopo di garantire l’uniformità e la qualità delle cure ai cittadini su tutto il territorio regionale».

Il PDTA rappresenta la premessa per creare, nel contesto lombardo, una rete gestionale integrata per la cura di tale rilevante patologia e per garantire continuità diagnostico-terapeutico-assistenziale ai malati che ne sono affetti. « È, quindi, finalizzato ad individuare modalità operative che consentano l’integrazione tra assistenza primaria e strutture specialistiche per assicurare l’appropriatezza e la continuità assistenziale del paziente con artrite reumatoide» prosegue Bersani.

Il PDTA si articola in tre fasi principali: la fase dell’esordio della malattia; la fase di monitoraggio clinico in corso di terapie; la gestione del trattamento con farmaci biologici.
«Il documento è il risultato dell’attività del Gruppo di Approfondimento Tecnico (GAT) per la Reumatologia, attivato presso la Direzione Generale Salute ed è rivolto a reumatologi, Medici di Medicina Generale ed altri specialisti operanti presso le Strutture Ospedaliere ed Ambulatoriali Accreditate. L’attuazione dei contenuti del PDTA avverrà a livello di ciascuna Asl anche mediante iniziative informativo-formative e l’attivazione di sistemi di monitoraggio locali in grado di restituire agli attori coinvolti riscontri informativi sulla ricaduta dell’applicazione del PDTA».
 
Spondiliti: ritardo diagnostico valutato in Italia in circa 8 anni ed inizio ritardato di una specifica terapia anti-reumatica sono i principali responsabili di un danno irreversibile alla colonna vertebrale
 Il tema del ritardo diagnostico e di inizio di una specifica terapia anti-reumatica, soprattutto per quel che riguarda le spondiliti, viene approfondita dal Dottor Roberto Gorla, Reumatologo degli Spedali Civili di Brescia.
«Il ritardo diagnostico, valutato in Europa e in Italia in circa 8 anni, e il ritardato inizio di una specifica terapia anti-reumatica sono i principali responsabili di un danno irreversibile alla colonna vertebrale e conseguente disabilità; vengono perdute importanti capacità funzionali: flettere la schiena, girare il collo e guardare in alto – spiega l’esperto -. Le ragioni di questi due principali ritardi sono la sottovalutazione e il mancato riconoscimento del dolore infiammatorio che è differente dal dolore meccanico e l’impiego di farmaci non appropriati da parte dei medici che per primi affrontano questi pazienti. Per questa ragione, per giungere ad una diagnosi precoce, serve un pool di medici in stretta collaborazione per individuare il dolore affinché provvedano ad un rapido invio al reumatologo che è lo specialista in grado di porre la diagnosi e gestire le terapie anti-reumatiche».

Secondo il Dottor Gorla è possibile migliorare il percorso diagnostico terapeutico assistenziale «favorendo proprio l’integrazione tra medici di medicina generale e specialisti».
«Gli specialisti – spiega  - devono trovare momenti di confronto per individuare le diverse caratteristiche cliniche dei soggetti con mal di schiena e quindi orientarsi ad una collaborazione paritetica, a favore dei pazienti. A Brescia è nato il “forum sul mal di schiena” che ha messo a confronto medici di medicina generale, ortopedici, fisiatri, reumatologi, neurochirurghi, neuroradiologi, terapisti del dolore e medici dello Sport. Ciò ha incrementato l’appropriatezza del riconoscimento delle caratteristiche distintive dei diversi tipi di mal di schiena».
 
Artrite reumatoide:  costi diretti ed indiretti, circa 3miliardi e mezzo di euro l’anno di cui un terzo sono costi diretti relativi ai farmaci. Uno studio multicentrico per risparmiare sui costi
Gli elevati costi diretti per l’impiego di farmaci biologici impongono soluzioni alternative. Lo spiega il Professor Pier Luigi Meroni, direttore del Dipartimento di Reumatologia dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano.
«Basti pensare, a titolo di esempio, che per l’artrite reumatoide i costi diretti ed indiretti ammontano a circa 3miliardi e mezzo di euro l’anno di cui un terzo sono costi diretti relativi ai farmaci. Conseguentemente le Autorità si sono viste costrette a contingentarne l’uso in relazione alle esigenze di bilancio. Le limitazioni di budget possono teoricamente impedire l’accesso alle cure migliori ad una parte della popolazione e come tali hanno spinto alla ricerca di soluzione alternative».
Una di queste è lo studio multicentrico per individuare gli anticorpi anti-farmaco per ripristinare gli effetti terapeutici e per risparmiare sui costi.
«I farmaci biologici possono in teoria indurre la comparsa di anticorpi prodotti dall’organismo del paziente che li assume ed in grado di inibire l’effetto terapeutico – evidenzia il Professor Meroni -. Questa evenienza sembra occorrere in circa un 20-40% dei pazienti trattati.  La presenza di anticorpi contro il farmaco non solo ne impedirebbe l’azione farmacologica ma sarebbe anche causa di effetti avversi (reazioni allergiche, eccetera). Per tali motivi si sono ricercati sistemi sempre più efficienti per l’individuazione di questi anticorpi anti-farmaco».

Dal momento che essi sono specifici solo per la molecola che li ha stimolati, in caso di una loro presenza, il passaggio (switch) ad una molecola differente consentirebbe di evitare gli effetti avversi e ripristinerebbe l’effetto terapeutico. «Da un punto di vista economico – prosegue Meroni - è stato suggerito che la determinazione degli anticorpi anti-farmaco potrebbe consentire un risparmio conseguente alla cessazione di una terapia inefficace (e/o dannosa) molto prima del riconoscimento della non risposta clinica o della comparsa degli eventi avversi».

Uno studio multicentrico che coinvolge i principali centri lombardi erogatori di terapia biologiche è in corso per validare questo approccio diagnostico sia in campo adulto che pediatrico.
«Lo studio è sostenuto dall’Università di Milano tramite finanziamento privato e quindi non a carico del Sistema Sanitario Nazionale; i risultati saranno comunque disponibili per il Sistema Sanitario della Regione» prosegue Meroni.

Un altro aspetto in cui si stanno ottenendo promettenti risultati si riferisce alla possibilità di potenziare l’effetto terapeutico di molecole biologiche facilitandone l’arrivo nei tessuti bersaglio.
«In altre parole – entra nel dettaglio il Professor Meroni - la terapia delle poliartriti è focalizzata al blocco del processo infiammatorio che avviene a livello dei tessuti presenti nell’articolazione. I farmaci sono iniettati endovena o per via parentale (sottocute), si distribuiscono nell’organismo e dffondono poi nelle sedi infiammate. Ovviamente è necessario iniettare quantità sufficienti di farmaco affinchè il farmaco arrivi nei tessuti bersaglio in misura adeguata. In quest’ottica sono state recentemente testate modificazioni delle molecole originali in modo da facilitarne l’arrivo ed il deposito nei tessuti bersaglio».

A tale proposito il gruppo di ricerca, cui partecipa attivamente anche la Cattedra di Reumatologia di Milano, ha messo a punto una molecola di inibitore del TNF (fattore di necrosi tumorale) che si deposita selettivamente nella sinovia infiammata. «I dati nei modelli sperimentali hanno chiaramente documentato che l’efficacia clinica è presente a dosaggi di farmaco molto inferiori a quelli con la molecola originale – prosegue il Professor Meroni -. Se confermato anche nell’uomo, questo approccio consentirebbe di trattare pazienti con dosaggi inferiori e quindi con una significativa riduzione dei costi o con la possibilità di poter erogare queste terapie ad un numero più ampio di pazienti a parità di budget. L’azione del biologico solo a livello tessutale ne diminuisce inoltre gli effetti sistemici e quindi anche l’immunosoppressione generale responsabile di alcuni degli effetti avversi di questi farmaci (i.e. maggiore suscettibilità ad infezioni). In tal modo si garantirebbe un profilo migliore di sicurezza».
 
 Trattamento efficace e diagnosi precoce migliorano la qualità della vita della donna
 Sul mondo femminile (l’artrite reumatoide è nettamente più frequente tra le donne con un rapporto femmine/maschi di 3 a 1) si sofferma in particolare la Professoressa Tincani, Direttore della Reumatologia e Immunologia Clinica A.O. Spedali Civili di Brescia che mette in evidenza come nelle donne le poliartriti rappresentino non solo una malattia ma un vero e proprio “ostacolo sociale”.  «Davanti a una giovane paziente con artrite cronica, il reumatologo deve affrontare il problema di una gravidanza consapevole – spiega la Tincani -. E’ necessario che questo discorso sia affrontato precocemente  per evitare che una eventuale gravidanza sia ricercata quando non solo l’artrite ma anche l’età stessa della paziente potrebbe remare contro. Il timing della gravidanza deve essere scelto in relazione  alla attività di malattia ed ai trattamenti in atto. Infatti, se la mamma sta male anche il bimbo sta male, per cui la malattia deve essere tenuta sotto stretto controllo anche in gravidanza, d’altra parte alcuni farmaci utilizzati per il trattamento delle artriti croniche sono teratogeni e pertanto il loro impiego è controindicato durante la gestazione e, in alcuni casi, devono essere sospesi prima del concepimento. La gestione delle pazienti in questo particolare settore è resa possibile dalla attiva collaborazione di specialisti di diversa estrazione (reumatologi-ginecologi-neonatologi)».

Presso gli Spedali Civili di Brescia opera da circa 25 anni una equipe multidisciplinare che assiste le pazienti con malattie reumatiche durante la gestazione e per tutti gli aspetti correlati.
«Nel 2013 nell’Ambulatorio della Gravidanza nelle Malattie Reumatiche – prosegue la Professoressa Tincani - sono state fatte circa 900 visite includenti: 136 pazienti gravide con malattie reumatiche, ciascuna valutata in media 6 volte durante la gestazione e 80 consulenze (pareri su inizio di gravidanza, su fecondazione medicalmente assistita, su contraccezione eccetera)».
 
L’impiego di alcuni farmaci può ridurre la fertilità: si guarda a nuove terapie a misura della paziente
 Ricerche di 10 anni fa riportano come le donne con artriti croniche abbiano un numero inferiore di figli rispetto alle donne sane.

«Le ragioni di questo sono in parte da attribuire al fatto che la malattia o l’impiego di taluni farmaci possono ridurre la fertilità, ma è stato anche ampiamente riconosciuto che le limitazioni muscoloscheletriche, la insoddisfazione della propria immagine, la depressione possano  limitare i rapporti interpersonali e quindi anche quelli sessuali – prosegue la Professoressa Tincani -. In effetti inchieste condotte tra pazienti italiani e stranieri di ambo i sessi hanno chiaramente evidenziato questo tipo di difficoltà nei pazienti reumatici che tuttavia nel 70% dei casi non si sentono di discuterne con gli specialisti e gli operatori sanitari in genere. E’ pertanto necessario comprendere quanto un trattamento efficace ed una diagnosi precoce, limitando la progressione di malattia, possano migliorare anche questo aspetto, non trascurabile per la vita delle pazienti».

In caso di gravidanza quale trattamento viene messo in campo in sostituzione dei farmaci che rischiano di comprometterla? «Il problema è delicato è va discusso caso per caso tenedo conto del rapporto rischio-beneficio – continua Tincani -. In altre parole nella paziente con atrite cronica gravida si valuta esattamente l’apporto di farmaci necessario e sufficiente a controllare la malattia materna (secondo il concetto che attività di malattia materna significa sofferenza per la paziente e danno per lo sviluppo del feto) e si scelgono farmaci ovviamente non dannosi per il feto. L’elenco di questi farmaci è continuamente cambiato ed aggiornato alla luce delle nuove conoscenze. E’ oggi ancora molto usata come riferimento una “consensus conference” di qualche anno fa cui molti di noi hanno partecipato. Per il necessario aggiornamento è ora al lavoro su questo argomento una task force internazionale sostenuta  dalla “European League Against Rheumatism” (EULAR), che è la società scientifica europea di reumatologia».
 
Mancano professori di ruolo di Reumatologia, manca una adeguata formazione nel campo
Le poliartriti e la qualità della vita dei pazienti che ne sono affetti, le poliartriti e la diagnosi precoce e la corretta gestione, le poliartriti e la formazione (ancora non del tutto estesa a tutte le realtà universitarie italiane) dei medici e di coloro che gravitano attorno al paziente.

E’ su questo tema che il Professor Carlomaurizio Montecucco, Direttore della Struttura complessa di Reumatologia, IRCCS Policlinico San Matteo dell’Università di Pavia approfondisce aspetti e progetti futuri, in occasione del workshop milanese dedicato alle Poliartriti organizzato da Motore Sanità.

«Le poliartriti sono malattie frequenti, dolorose, frequente causa di invalidità e connesse a maggiore mortalità. Una diagnosi precoce ed una corretta gestione di questi casi  appare oggi fondamentale in considerazione del fatto che abbiamo terapie in grado, se usate correttamente e tempestivamente, di prevenire l'invalidità, allungare l'aspettativa di vita e garantire una più che soddisfacente qualità di vita ai pazienti» spiega il Professor Montecucco.
«L'approccio a queste malattie è oggi di tipo assolutamente specialistico, vista la complessità del campo e la tipologia dei farmaci usati. E' quindi del tutto evidente che una diagnosi precoce ed un tempestivo trattamento debbano comportare l'invio precoce del paziente con sospetta poliartrite allo specialista reumatologo».

Perchè questo avvenga si deve ottenere l'attenzione del Medico di Medicina Generale a questo specifico problema, secondo Montecucco. «Parimenti si devono allertare adeguatamente altre figure professionali che a diverso titolo possono venire a contatto con pazienti sofferenti di patologie articolari non ancora o non correttamente diagnosticate. Occorre infine che gli specialisti reumatologi siano adeguati alle nuove sfide in questo campo».
Il ruolo dell'Università appare quindi fondamentale su più livelli. Secondo il Professor Montecucco il ruolo dell’Università è fondamentale «nella formazione del medico nel corso di Laurea, nella formazione dello specialista reumatologo nella Scuola di Specializzazione, nella formazione di altre figure professionali (infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, tecnici ortopedici, laureati in scienze motorie eccetera) e nella formazione dei Medici di Medicina Generale e degli specialisti come ECM. Purtroppo l'obiettivo di una adeguata formazione non è ancora pienamente raggiunto, neppure in Lombardia».

E questo è ciò che emerge: «Ben due (MI-Bicocca e Varese) delle sei Università lombarde con Facoltà di Medicina (Milano, MI-Bicocca, San Raffaele, Pavia, Varese, Brescia) non hanno ad oggi professori di ruolo di Reumatologia. Inoltre i posti nelle scuole di specializzazione in Reumatologia della Lombardia sono solo sei all'anno in totale, che è la metà di quanto previsto dalla Regione per la copertura del fabbisogno nel prossimo triennio».

Migliora la qualità della vita dei pazienti con artrite reumatoide  grazie all’avvento dei farmaci biotecnologici
Migliora la qualità della vita dei pazienti con artrite reumatoide (sono circa 50mila nella sola regione Lombardia (0,5-1% della popolazione) e circa 300 mila in tutta Italia) grazie all’avvento dei farmaci biotecnologici. Allo stesso tempo però si guarda a come ottimizzare le risorse attualmente disponibili somministrando questi stessi farmaci, molto costosi loro malgrado, dietro ad una selezione accurata ed appropriata dei pazienti, al punto che solo il 20% di loro li utilizza.

Il compito della Rete Assistenziale Reumatologica è di curare al meglio il paziente ed indirizzare le risorse attualmente disponibili a pazienti selezionati accuratamente.
«Perché è proprio grazie ad una appropriatezza della cura che si può sviluppare a livello nazionale una Rete Reumatologica di diagnosi e cura all’altezza delle richieste dei 300 mila pazienti affetti da artrite reumatoide nel nostro paese». A spiegarlo è il Professor Piercarlo Sarzi Puttini, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano.

«L’avvento dei nuovi farmaci nel campo dell’artrite reumatoide ha determinato una vera e propria rivoluzione copernicana sia nella nostra visione della malattia sia nella nostra capacità terapeutica: mentre una volta accompagnavamo il paziente nella gestione dei sintomi perché non avevamo i farmaci in grado di bloccare la malattia e la necessità di una diagnosi precoce era perciò relativa perché non eravamo in grado di bloccare la sua storia naturale, negli ultimi 15 anni l’avvento dei nuovi farmaci biotecnologici ha sostanzialmente modificato il modo di comprendere e di curare questa malattia. Nell’ambito della precocità della diagnosi, innanzitutto».
Non basta però fare semplicemente una diagnosi o raggiugere una remissione clinica o una bassa attività di malattia. «I reumatologi devono perseguire la malattia nel tempo attraverso diverse azioni – puntualizza Sarzi Puttini -: il paziente va seguito in maniera ravvicinata nel tempo; il reumatologo deve misurare l’attività di malattia, può decidere se mantenere la stessa terapia, qualora sia efficace, o modificarla, per mantenere nel tempo il risultato clinico raggiunto. Insomma, siamo di fronte ad una vera e propria strategia terapeutica che ci avvicina ad un controllo quasi completo della malattia  determinando di conseguenza una migliore qualità di vita del paziente  riducendone  la disabilità».

I farmaci biotecnologi sono tuttavia costosi e aprono una questione importante. «I farmaci biotecnologici proprio a causa del loro alto costo rendono necessari criteri di scelta del paziente – prosegue il Professor Sarzi Puttini -, basti pensare che in media ogni anno ogni paziente affetto da artrite reumatoide costa al Sistema Sanitario Nazionale dai 10 ai 12mila euro. Per questa ragione è importante che il farmaco sia somministrato al paziente che ha più bisogno e che venga impiegato al meglio, e questo è il compito del Reumatologo esperto. Questo modus operandi consente di utilizzare le risorse (che non sono infinite) in maniera appropriata. Perciò la Rete Assistenziale Reumatologica deve essere una rete che si fornisce sia di professionisti validi sia di una appropriatezza etica nell’utilizzo delle risorse che si hanno disposizione mantenendo, altresì, nel tempo i risultati ottenuti nel percorso terapeutico assistenziale».
Di grande aiuto sono attualmente i centri di Reumatologia  che si sono dotati dei cosiddetti “Early arthritis clinic”. «Si tratta di strutture in grado di identificare la natura effettiva della malattia – conclude Sarzi Puttini -. I Medici di Medicina Generale e gli altri Specialisti possono inviare ai Reumatologi quei pazienti che presentano tumefazioni ad una o più articolazioni per un certo periodo di tempo (dunque con malattia all’esordio) affinché accertino se si tratta di una forma di malattia che si autolimita (che non necessita cioè di un trattamento particolare) o se si tratta di forme che si possono evolvere danneggiando l’articolazione. La loro funzione è perciò estremamente importante per una corretta e tempestiva diagnosi della malattia».

Ha chiuso il workshop milanese organizzato da Motore Sanità e dedicato alle poliartriti Stefano Carugo, Consigliere di Regione Lombardia che si è soffermato sull’importanza di intraprendere il giusto indirizzo sull’appropriatezza e suoi percorsi diagnostico-terapeutici in collaborazione con il mondo scientifico e le associazioni di pazienti.

«Abbiamo in corso un riordino del nostro sistema sanitario di Welfare in Regione Lombardia – ha spiegato Carugo-: è giusto che sia premiata l’eccellenza, non si potrà dare tutto a tutti però, dunque l’idea dell’appropriatezza e dei Percorsi Diagnostico-Terapeutici sarà fondamentale. Ci appelliamo dunque alle istituzioni scientifiche ed illustri professori presenti in questo incontro affinché ci diano una mano in tal senso per darci il giusto indirizzo sull’appropriatezza e sui percorsi che dovremmo seguire per i nostri pazienti. Accanto al mondo scientifico, fondamentale perché ci indirizzi nel percorso suddetto, è importante inoltre la presenza delle associazioni dei pazienti, per avere un aiuto virtuoso e reciproco».


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