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Croi cambia il nome e ridefinisce la sua mission fondativa

A partire dal prossimo mese di gennaio, si chiamerà CReI (Collegio REumatologi Italiani) e celebrerà il suo congresso a Bologna a maggio 2016  anziché in autunno, ridefinendo la sua mission fondativa: quella di interessarsi principalmente delle condizioni tecnico-assistenziali e politico-sociali delle malattie reumatiche.

Ciò in un momento particolare della Sanità pubblica del nostro Paese, combattuta da due opposte esigenze: quella di assicurare la miglior cura possibile a tutti - obiettivo oggi, fortunatamente, sempre più perseguibile grazie alle opportunità terapeutiche sempre più efficaci – con la necessità di preservare la sostenibilità economica del SSN, situazione che impone scelte di razionalizzazione non solo economica ma anche organizzativa, improntata ai dettami dell'appropriatezza.

Queste le due novità principali ratificate dall'assemblea dell'ultimo congresso annuale CROI dal titolo chiaramente programmatico (La Reumatologia Domani) che, a distanza di 6 anni, si è tenuto nuovamente a Napoli.

Il congresso si è articolato  in una “tre giorni” di sessioni scientifiche di elevato livello, affiancate da una parte tecnico-organizzativa che ha fatto anche il punto sugli scenari assistenziali legati alla cura dei pazienti in carico al reumatologo ospedaliero e territoriale.

Il tutto in un contesto informale ma che ha badato alla sostanza e che ha reso possibile il dialogo e lo scambio di esperienze e di opinioni (spesso anche molto franco) tra i reumatologi ospedalieri e quelli territoriali, accompagnato (dettaglio non secondario) da un'atmosfera cordiale e calorosa che solo il dr. Stefano Stisi e il dr. Angelo Pucino potevano rendere possibile.
Abbiamo rivolto qualche domanda al dr. Stefano Stisi (attuale presidente CROI) per un bilancio del Congresso e per avere qualche ulteriore ragguaglio sul futuro prossimo dell'associazione, alla luce delle ultime novità emerse.

Dottor Stisi, a conclusione del Congresso, può dirsi soddisfatto del dati sulla partecipazione ai lavori ?
Se dovessimo valutare il peso scientifico dei Congressi o le novità che ci comunicano e che ci cambiano la mentalità o che ci forniscono idee nuove e modifiche procedurali, non dovremmo giudicarli con i numeri dei partecipanti, bensì misurando il loro interesse e la loro partecipazione. Al nostro Congresso, il primo di rifondazione, hanno partecipato solo duecento reumatologi, ma penso che sia solo un punto di partenza. Se è così non possiamo che migliorare in futuro. Purtroppo le iscrizioni sono sempre fortemente influenzate dalle aziende farmaceutiche che creano o meno delegazioni di partecipanti. Purtroppo i fondi che loro investono in tali circostanze sono sempre di meno e si disperdono in miriadi di rivoli locali, spesso prive di altre funzioni se non quelle di “marcare” il proprio territorio. In futuro saremo capaci di scegliere partner e location più responsive. Del resto l’anima del CReI è una sfida! Saremo capaci di interpretare bene anche questa: sposare il numero dei partecipanti con la capacità di coinvolgerli nella comunicazione.

Quale era l'obiettivo principale  perseguito in questa edizione del congresso?
Il Congresso si proponeva quest'anno, a livello comunicativo, l'obiettivo prioritario di far capire a tutti i livelli che nel veloce cambiamento che le nuove condizioni socio-economiche del Paese impongono, il futuro prossimo di branche a maggior vocazione per le malattie croniche, come la reumatologia, potrebbe repentinamente cambiare.  Essere preparati ad affrontare il cambiamento significa non subirlo passivamente.

Come si sono articolati i lavori congressuali?
L'edizione annuale di questo Congresso prevedeva una parte scientifica e una tecnica-organizzativa. La parte scientifica si è articolata in sei sessioni scientifiche  (su tema terapeutico) e due letture magistrali, sei letture su tema terapeutico, una tavola rotonda e due talk show nei quali si è parlato degli aspetti conflittuali derivanti dalla disponibilità di un ampio armamentario terapeutico con la riduzione delle risorse economiche disponibili nella Sanità pubblica.

Quanto alla parte tecnica-organizzativa, svolta in contemporanea alla sessione scientifica, questa si è strutturata come un'agorà sempre aperta, all'interno della quale si sono succeduti una serie di incontri con carattere di natura organizzativa o  di politica assistenziale. 

Quali sono stati i temi più rilevanti della prima giornata delle sessioni scientifiche?
Si è partiti con una sessione sulla Reumatologia di genere, con un focus sul genere femminile, maggiormente colpito da malattie  reumatiche (nel 70% dei casi). Particolare attenzione è stata data alla diversa posologia dei farmaci nei due sessi, che va adattata non solo in base a criteri ponderali, ma deve tener conto anche del diverso metabolismo esistente.

La prima lettura del congresso, da me tenuta, dal titolo programmatico (La Reumatologia domani) si è configurata per un taglio prevalentemente politico-sociale. Scopo della lettura è stato quello di delineare quali sono le potenziali prospettive di una branca a larghissima diffusione in un momento in cui le risorse economiche vanno a ridursi e, soprattutto, in un momento in cui lo Stato sta riformando in termini di appropriatezza sia l'erogazione delle prestazioni sanitarie in ospedale per acuti che le prestazioni sul territorio, estremamente carenti negli ultimi decenni.

La lettura, successivamente, ha affrontato il tema delle linee programmatiche che si intendono portare avanti insieme ai decisori pubblici per il potenziamento della reumatologia territoriale.
A tal riguardo, abbiamo  sottoscritto come CROI, insiema a SIR e UNIREUMA, un documento da presentare in forma emendata alla parte pubblica per rispondere alle domande di quantificazione e programmazione in modo strutturato della Reumatologia di domani. Ciò allo scopo di improntare in misura crescente la reumatologia del futuro verso il territorio e ridurre gli interventi inappropriati.
Segnalo, poi, l'istituzione di una sessione che, nelle nostre intenzioni, vorremmo diventasse parte integrante, d'ora in poi, delle prossime edizioni annuali del Congresso, e che consiste nel riproporre nella nostra assise annuale le comunicazioni migliori tratte da un congresso loco-regionale svoltosi nel corso dell'anno.

A tal riguardo, sono state selezionate 3 relazioni del Magenta OsteoArea, un evento scientifico tenutosi a Milano a fine mese di aprile scorso, per la riproposizione nella nostra assise congressuale, aventi come argomento, rispettivamente, l'alimentazione in reumatologia, il ruolo del Th17 nell'osteoartrosi e nell'artrite reumatoide e l'esame del liquido sinoviale mediante imaging.
A ciò ha fatti seguito una serie di talk show incentrati sui farmaci biologici e la loro efficacia/tollerabilità e una sessione congiunta con il FADOI.

Quali sono stati, invece, i temi della seconda giornata di sessioni scientifiche?
Abbiamo avuta una sessione sulla sindrome di Sjogren, che si è avvalsa della presenza del dott. Claudio Vitali, autore, insieme ad altri colleghi, dei criteri classificativi della sindrome che, a distanza di 30 anni, sono ancora validi nella diagnosi pur con alcune migliorie intervenute nel tempo.

A ciò ha fatto seguito un talk show in cui la parte pubblica dei decisori e la parte delle associazioni malati e dei reumatologi hanno interloquito non solo sulle mancanze e i difetti del nostro sistema sanitario ma anche sulle prospettive future e sulle soluzioni da adottare.

Dopo una sessione molto stimolante sulla sclerosi sistemica, corredata da una lettura magistrale del dott. De Cata, è seguita una sessione sull'utilizzo di metotressato nell'artrite reumatoide.
In questa sessione sono stati resi noti i risultati di uno studio osservazionale italiano sull'argomento, voluto dal CROI, con la casistica di pazienti più grande in Europa al momento (1.500 pazienti). A tal riguardo mi preme sottolineare come lo studio sia stato condotto totalmente in ambiente ospedaliero e la dica lunga sulle capacità dei reumatologi ospedalieri di effettuare studi osservazionali qualitativamente e quantitativamente di tutto rispetto.

La giornata ha visto anche una sessione sulla terapia occupazionale, immeritatamente trascurata in reumatologia, forse in quanto non si avvale di trattamenti farmacologici, che prende in carico il paziente con le sue disabilità e lo trasforma in un paziente completamente abile, riuscendo a sostituire gli handicap con ausili o, comunque, con procedure che poi consentono al paziente la piena autonomia.
La sessione sulla psoriasi, tenuta insieme ad ADOI e la tavola rotonda sulla malattia psoriasica si sono focalizzate, invece, sulla possibilità di intervenire precocemente e sulla diagnosi differenziale che, a volte, risulta difficile anche in ambiente dermatologico.

Di cosa si è parlato, invece, nell'ultima giornata di sessioni scientifiche?
E' stato affrontato il tema della fibromialgia e del dolore cronico diffuso, patologie che, anche se non proprio di pertinenza dello specialista reumatologo, rendono conto di quasi il 20% di tutte le visite reumatologiche presso i reumatologi, soprattutto di quelli di prima istanza e che devono essere in grado di riconoscere e trattare in modo adeguato.

La sessione congiunta con ASON  ha consentito di mettere in luce i difetti del trattamento attuale dell'osteoporosi e le possibilità di miglioramento,  mentre le letture sui nuovi farmaci hanno permesso di comprendere meglio i nuovi meccanismi d'azione di alcuni DMARD nelle patologie immunomediate, con particolare riferimento ad apremilast, un inibitore delle PDE4 che viene presentato in questi giorni, atteso con estrema curiosità nel settore per valutare meglio ciò che abbiamo conosciuto finora solamente con gli studi di registrazione.

In una delle ultime sessioni della giornata sono stati discussi i nuovi protocolli di trattamento delle patologie di più frequente riscontro nella nostra pratica clinica (artrite psoriasica, lupus, vasculiti, artrite reumatoide e osteoporosi), mentre nella sessione congiunta con AGE sono state passate in rassegna  le patologie più frequenti nell'anziano.

A cosa hanno portato, invece, i lavoro della parte tecnico-organizzativa del Congresso?
Grazie alla metodologia sperimentata dell'agorà, di cui ho già detto, si è arrivati alla messa a punto di una Consensus - dapprima tra i reumatologi ospedalieri e, successivamente, tra i reumatologi territoriali - sugli aspetti relativi all'organizzazione del servizio assistenziale.

Successivamente,  sono stati presentati due software di proprietà CROI, aventi lo scopo di agevolare lo svolgimento delle attività connesse alla clinica in maniera omogenea a livello nazionale: il primo destinato ai centri prescrittori dei farmaci biotecnologici; il secondo (Reumarecord) dedicato non solo all'attività assistenziale quotidiana ma finalizzato anche alle attività di ricerca nel settore ospedaliero.

Nel secondo giorno di lavori congressuali, invece, sono stati riuniti i rappresentanti regionali  allo scopo di caldeggiare l'inclusione della voce “reumatologia” nei  piani sanitari regionali (spesso assente, soprattutto al sud).
Inoltre, l'agorà attivata in sede congressuale ha permesso di creare una rete sulle malattie autoinfiammatorie, sulla sclerosi multipla e sulle gravidanze a rischio nelle malattie reumatiche.

Passiamo alle novità a  livello societario. Quale è, a suo parere, quella più rilevante? 
Probabilmente quella di avere una mission ben definita che si differenzia nettamente da quella di altre società scientifiche come la SIR, che rimane il nostro punto di riferimento scientifico.
Come ho dichiarato in apertura dei lavori congressuali, il CReI ha definito il proprio campo d'azione come diverso da quello della SIR: solo in un modo più marginale ci interesseremo di aspetti scientifici ma cureremo soprattutto e destineremo le nostre energie ai contesti tecnico-assistenziali e politico-sociali, interessandoci sempre più di assistenza e della sua organizzazione nei presidi ospedalieri e sui territori, che intendiamo fortemente potenziare.

Il CReI formerà i reumatologi sugli aspetti gestionali e collaborerà con gli assessorati regionali come già stiamo facendo, per la stesura dei piani sanitari regionali, con la possibilità questa volta di incidere in modo importante. Cercheremo di essere vicini alla realtà amministrativa nel tentare di chiarire cosa sono le malattie reumatiche, come approcciarle e, soprattutto, come sviluppare l'assistenza sui territori.
In ultima analisi, andremo a ricoprire quell'enorme vuoto che esiste oggi tra la scienza e l'erogazione delle sue conoscenze ai pazienti.

E infatti cambierete il vostro nome...
Il cambio del nome è dovuto in primis a motivazioni di natura banalmente burocratica: non essendo stato dato alla nostra associazione il riconoscimento di onlus, siamo stati messi nella condizione di poter dare un nome nuovo alla nostra associazione. Di qui l'idea di individuare un nuovo acronimo che abbattesse un muro che, di fatto, si era involontariamente creato tra il medico reumatologo ospedaliero e il medico reumatologo del territorio.  Dopo aver messo ai voti vari acronimi proposti, la scelta dell'assemblea è andata sull'acronimo CReI (Collegio Reumatologi Italiani) che, di fatto, accomuna entrambe le figure, dando pari dignità ai reumatologi territoriali.

La sua lettura di apertura del congresso ha delineato luci ed ombre della reumatologia. Come rispondere alla sfida che gli anni a venire lanciano nella gestione delle malattie reumatiche (non solo aumento della sopravvivenza ma anche miglioramento della qualità della vita, fatta salva la sostenibilità del SSN)?

Bisogna ammettere che, se i reumatologi hanno qualche pecca, è proprio quella che non sono riusciti ad imporsi nel sociale. Fino ad oggi non siamo riusciti a far capire veramente cosa sono le malattie reumatiche e chi è il reumatologo che le prende in carico.

Ho già ricordato che le malattie reumatiche non sono malattie ineluttabili dell'anziano, ma colpiscono gli adulti e, in particolar modo le donne; sono malattie invalidanti ed hanno un decorso cronico, con delle riacutizzazioni improvvise. Noi dobbiamo fare diagnosi precoce, terapia più adeguata possibile ed evitare la riacutizzazioni e favorire il completo reinserimento in questo modo del malato reumatico nella vita sociale e lavorativa.
Perchè ciò sia possibile è necessario, però, far capire ai decisori della spesa sanitaria che, se non si interviene in maniera tempestiva su queste malattie, magari a fronte di un costo elevato iniziale, si finisce col fare danni non solo di tipo economico ma anche sociale nel prossimo futuro.

Cosa dovremo aspettarci dal prossimo Congresso?
Senza dimenticare la parte che più ci nobilita, che è quella della conoscenza, il prossimo congresso si connoterà per una preponderanza di sessioni dedicate a come strutturare l'assistenza nei nostri territori e nei nostri ospedali rispetto alle sessioni scientifiche. Soprattutto però più delegati e ancora un maggior numero di comunicazioni orali con l’intervento dei giovani reumatologi.

Nicola Casella
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