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Dosi elevate di corticosteroidi esacerbano il danno d'organo in pazienti con Lupus eritematoso sistemico

Il danno d'organo nei pazienti affetti da Lupus eritematoso sistemica ha un'eziologia multifattoriale. L'impiego, tuttavia, di dosi elevate di corticosteroidi (CS) avrebbe però un ruolo determinante nel danno d'organo, seguito, per importanza dall'attività di malattia. E' stato dimostrato, infatti, che, ad ogni incremento scalare di 1 mg/die della dose di prednisone, si associa un incremento percentuale pari al 3% del rischio di danno d'organo.

Queste le conclusioni principali di uno studio pubblicato online ahead-of-print sulla rivista Lupus Science and Medicine (1) che invitano a considerare con attenzione i protocolli di riduzione dei dosaggi di CS in pazienti con LES attualmente allo studio.

“La riduzione della dose di CS rimane un goal importante da conseguire nella gestione del LES – scrivono gli autori nell'introduzione al lavoro. - E' noto, infatti, come l'utilizzo in cronico di questa classe di farmaci si associ all'irreversibilità del danno d'organo. Tale rischio raggiungerebbe valori elevati per dosi di prednisone >20 mg/die”. (2)

L'assenza di studi che avessero quantificato tale rischio con esattezza ha sollecitato la messa a punto di questo studio avente l'obiettivo di comprendere l'impatto di dosi differenti di CS sul rischio di sviluppare nel tempo nuovo danno d'organo.

A tal scopo sono stati analizzati i dati dell'Hopkins Lupus Cohort (3), un studio prospettico longitudinale iniziato nel 1987. L'analisi ha incluso 2.199 pazienti, aventi un'età media al momento del reclutamento di questo studio pari a 38 anni e la cui durata media di malattia era superiore a 5 anni. Il campione era costituito in prevalenza da donne, delle quali il 55% era di etnia caucasica e il 38% di etnia nera.

L'attività di malattia è stata valutata mediante indice SELENA-SLEDAI (the Safety of Estrogens in Lupus Erythematosus National Assessment version of the SLE Disease Activity Index - misura validata per monitorare l'attività complessiva della malattia), mentre il danno irreversible è stato misurato mediante indice SDI (the Systemic Lupus International Collaborating Clinics/American College of Rheumatology Damage Index).

Il punteggio medio SELENA-SLEDAI era pari a 3,5, ma un paziente su 4 presentava un'attività di malattia più elevata, espressa da punteggio SELENA-SLEDAI >6. Il punteggio medio SDI, invece, era pari, all'inizio del periodo di osservazione, a 1,2.

I risultati dello studio hanno documentato, nel corso del follow-up, lo sviluppo di danno musculosceletrico nel 20,3% dei pazienti. Il 15,8% dei pazienti reclutati, invece, ha sviluppato danno oculare mentre il 12,4% ha sviluppato fratture da osteoporosi (OP).

Oltre alla dose di prednisone, i fattori che sono risultati associati a un rischio elevato di danno d'organo sono stati il punteggio SELENA-SLEDAI nel corso del follow-up (HR=1,398; IC95% =1,17-1.67, P<0,001), il punteggio SDI all'inizio del periodo di osservazione (HR= 1,064, IC95% =1,023-1,106, P=0,002), nonché l'impiego di farmaci immunosoppressori (HR=1,225, IC95% =1,046-1,434, P=0,012).

Anche dopo aggiustamento dei dati per attività di malattia recente, la relazione dose-risposta tra i differenti livelli di esposizione al prednisone nel corso del follow-up e il rischio di sviluppo di nuovo danno d'organo si è mantenuta. In particolare, il rischio è pressochè raddoppiato in pazienti esposti ad una dose media pregressa di prednisone ≥20 mg/die vs
I ricercatori hanno poi calcolato il rischio di danno d'organo specifico, osservando come l'esposizione pregressa a dosi medie di prednisone ≥7,5 mg/die vs <7,5 mg/die aumentava il rischio di insorgenza di cataratta (HR=2,41, p<0,001), frattura da OP (HR=2,16, p<0,001) e danno CV (HR=1,54, p=0,041) mentre non sono state documentate differenze tra la posologia del CS (elevata i ridotta) e il danno renale (HR=1,44, p=0,163) o interessante altri organi rispetto a quelli appena menzionati.

Altri fattori erano associati con il danno d'organo specifico. Ad esempio, un punteggio SELENA-SLEDAI pari a 6 o >6 correlava con un incremento ulteriore del rischio di cataratta  (HR 1,475, IC95% 1,008-2,157, P=0,045), un evento inusuale per una popolazione relativamente giovane come quella della coorte considerata.

Quanto alle fratture da OP, le donne mostravano un rischio doppio rispetto agli uomini  (HR 2,32, IC95%= 1,174-4,585, P=0,015), come pure i pazienti di etnia caucasica rispetto a quelli di etnia nero africana (HR 1,89, P<0,001). Inoltre, ad ogni incremento scalare di 1mg/die della dose di CS, si osservava un incremento del 3,8% del rischio di cataratta e del 4,2% del rischio di frattura.

Infine, per quanto riguarda il danno CV e renale, punteggio SELENA-SLEDAI pari a 6 o più elevati erano associati ad un rischio di danno d'organo specifico più elevato (HR 2,737, IC95%= 1,78-4,209, e HR 4,079, IC95% 2,521-6,6, rispettivamente, P<0,001 per entrambi).

Nel commentare i risultati gli autori del lavoro sottolineano come il loro “...sia il primo studio ad aver quantificato il rischio derivante dall'impiego di CS sul danno d'organo complessivo o specifico”.

“La scoperta più importante – continuano gli autori – è quella dell'esistenza di una relazione dose-risposta tra la dose media pregressa di prednisone utilizzata nel corso del follow-up dell'Hopkins Cohort Study (1,3) e il rischio di sviluppo di danno d'organo irreversible nel tempo”.

“In secondo luogo – aggiungono – un altro merito dello studio è la dimostrazione del rischio associato ai CS in relazione al danno d'organo aspecifico, la qual cosa permette di evidenziare quale tipo di danno sia più probabile che si verifichi nel tempo”

Lo studio, tuttavia, per ammissione degli stessi autori, non era esente da alcune limitazioni: ”In primo luogo – argomentano gli autori - le misure di aderenza al trattamento tra una visita di controllo e la successiva non erano disponibili. Di conseguenza, tutte le analisi condotte erano basate sull'assunzione che la dose di CS utilizzata si mantenesse costante nel tempo”

“In secondo luogo – continuano gli autori – l'attività di malattia rappresenta un predittore del danno ed è noto come il prednisone riduca l'attività di malattia. Pertanto, non si può escludere che il prednisone abbia avuto qualche effetto nel prevenire alcune forme di danno d'organo associate solo alla LES. Quindi, i valori di HR riportati nello studio, anche se clinicamente importanti, non sono stime pure dell'impatto del prednisone.”

In conclusione, “....la comprensione dei meccanismi alla base del rischio di danno d'organo complessivo o specifico, associato all'esposizione a dosi elevate di prednisone nel tempo, nonché l'approfondimento sui meccanismi del rischio derivante da un innalzamento della dose di prednisone da 1 mg/die a 5 mg/die dovrebbe aiutare i clinici ad apprezzare i benefici a lungo termine derivante dall'impiego di regimi terapeutici a base di CS a basso dosaggio, attualmente in corso di sperimentazione in alcuni trial clinici condotti su pazienti affetti da LES”.
 

Al Sawah S et al. Effect of corticosteroid use by dose on the risk of developing organ damage over time in systemic lupus erythematosus — the Hopkins Lupus Cohort. Lupus Cohort. Lupus Science & Medicine 2015; 2 :e000066. doi:10.1136/lupus-2014-000066
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Petri M et al. Predictors of organ damage in systemic lupus erythematosus: the Hopkins Lupus Cohort. Arthritis Rheum. 2012 Dec;64(12):4021-8. doi: 10.1002/art.34672.
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Fangtham M et al. 2013 update: Hopkins lupus cohort.
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