Terapia

Lupus e belimumab, risultati di efficacia real life a 2 anni

Il trattamento con belimumab è efficace in due pazienti su tre affetti da LES attivo provenienti dalla pratica clinica reale, con particolare riferimento a quelli con attività di malattia elevata o poliartrite.

Questi i risultati di uno studio italiano presentato recentemente a Melbourne, in Australia, nel corso di una conferenza internazionale sulla malattia (1).

In questi studio multicentrico prospettico, condotto su 188 pazienti con LES attivo, i ricercatori hanno documentato un tasso di risposta pari al 71,3% a 12 mesi dall'inizio del trattamento con belimumab sulla base del soddisfacimento dei criteri SRI-4 (un endpoint composito il cui soddisfacimento comporta una riduzione di almeno 4 punti del punteggio SLEDAI-2K di attività di malattia, l'assenza di valori dell'indice PGA (Physician’s Global Assessment of Disease Activity) peggiorativi rispetto al basale (incremento del punteggio
A 24 mesi dall'inizio del trattamento, invece, il gruppo trattato con belimumab ha sperimentato un tasso di risposta pari al 68,7%, al quale ha contribuito il 92% dei pazienti che avevano già mostrato una risposta al trattamento a 12 mesi.

Per contro, nei pazienti non responder al belimumab a 12 mesi, l'87,5% di questi non ha risposto anche a distanza di 2 anni dall'inizio del trattamento.

Entrando nei dettagli del disegno dello studio, pazienti con LES sono stati trattati con belimumab come trattamento aggiuntivo allo standard di cura. Il regime di trattamento prevedeva la somministrazione del farmaco al dosaggio giornaliero di 10 mg/kg a cadenza bisettimanale (fino a 28 giorni) e, successivamente, a cadenza mensile (ogni 28 giorni).

Il punteggio medio SLEDAI-2K di partenza era pari a 8,3; tutti i pazienti mostravano positività agli anticorpi anti-DNA a doppia catena, mentre l'indice medio SLICC (Systemic Lupus International Collaborative Clinics), espressione del danno, era pari a 0,84.

Inoltre, due pazienti su 3 erano sottoposti anche a trattamento concomitante con immunosoppressori.

Dallo studio è emerso che i pazienti con punteggio SLEDAI-2K pari o superiore a 10 avevano una probabilità 25 volte maggiore di rispondere al trattamento a 12 mesi e 12 volte maggiore a 24 mesi dall'inizio della terapia (valori significativi in entrambi i casi).

Un trend analogo è stato documentato nei pazienti con poliartrite – che rappresentavano la metà di tutti i pazienti inclusi nello studio: quelli con punteggio SLEDAI-2K pari o superiore a 10 avevano una probabilità 8 volte maggiore di rispondere al trattamento a 12 mesi (32 volte a 24 mesi).

Lo studio ha anche dimostrato che i pazienti con una dose di steroide pari o superiore a 7,5 mg/die avevano anche una probabilità maggiore di rispondere al trattamento con belimumab a 24 mesi.

In conclusione, lo studio ha dimostrato che, in un setting di pazienti provenienti dalla pratica clinica reale, l'efficacia del trattamento con belimumab è maggiore nei pazienti con attività di malattia più elevata. Tale trattamento, inoltre, si associa ad una riduzione/arresto della progressione del danno d'organo, misurata dall'indice SLICC.

“Se nel corso dei 5 anni precedenti l'inizio del trattamento con belimumab abbiamo osservato un incremento del danno d'organo associato al LES – hanno sottolineato i ricercatori nel corso della discussione seguita alla presentazione dei risultati dello studio nel corso del convegno australiano – già dopo la prima infusione di belimumab non abbiamo più documentato questo trend all'aumento iniziale”.

La durata mediana del trattamento è stata pari a 12 mesi, mentre 58 pazienti (pari al 30,9% del campione iniziale) hanno sospeso il trattamento in ragione della comparsa di eventi avversi, 8 in concomitanza della gestazione e due per sopraggiunta remissione di malattia.

Dalla discussione è emerso anche che il trattamento è risultato associato ad una riduzione del numero di pazienti che ha sperimentato episodi di recidiva di malattia, con particolare riferimento alle recidive renali nei pazienti con coinvolgimento renale di malattia.

I risultati di questo studio si aggiungono ai dati di efficacia del farmaco.

Informazioni su belimumab
Belimumab è un regolatore che controlla la sopravvivenza dei linfociti implicati nella potente reazione autoimmune, che dà origine alle diverse lesioni ad organi e tessuti della malattia.

In sintesi, belimumab è il primo farmaco che agisce direttamente sui livelli di BLyS circolante nel sangue e ne impedisce il legame con i suoi recettori. BlyS è una proteina naturale necessaria per la sopravvivenza dei B-linfociti e la loro trasformazione in plasmacellule mature.

Il blocco del BLys induce l’apoptosi (cioè il suicidio programmato”) dei linfociti B, in particolare di quelli autoreattivi,  e consente di diminuire i livelli degli autoanticorpi che attaccano le cellule dello stesso organismo del paziente, responsabili del peggioramento della malattia, soprattutto a carico di come articolazioni, cute, cuore, polmoni, reni e cervello.

Il farmaco ha rappresentato, dopo 50 anni, una svolta per la cura di questa malattia nelle forme moderate e gravi.

In Italia, belimumab è disponibile ormai da più di 2 anni, anche se alcuni centri hanno iniziato ad utilizzarlo anche prima, quando era ancora in sperimentazione.

NC

Fonte:
1. Larosa M et al. EFFICACY, DAMAGE ACCRUAL AND PREDICTORS OF RESPONSE TO BELIMUMAB IN ACTIVE SLE PATIENTS: A LARGE ITALIAN MULTICENTER PROSPECTIVE STUDY . LUPUS-ACA 2017
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