Terapia

Rituximab nel Lupus, analisi della letteratura

Commento all'articolo di Merrill et al "Efficacy and safety of rituximab in moderately-to-severely active systemic lupus erythematosus: The randomized, double-blind, phase II/III systemic lupus erythematosus evaluation of rituximab trial. Arthritis Rheum 2010;62:222-33".
Gian Domenico Sebastiani 
U.O.C. Reumatologia, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma.
In un numero recente di Arthritis and Rheumatism sono stati pubblicati i risultati dello studio "Explorer" (1), il primo trial multicentrico, randomizzato, controllato vs placebo, in doppio cieco, disegnato per valutare l'efficacia del rituximab nel lupus eritematoso sistemico (LES).

Rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico (umano-murino) che si lega selettivamente ai linfociti B CD20-positivi, provocando la lisi di queste cellule. Il rituximab induce pertanto una profonda e selettiva deplezione dei linfociti B, mentre sono risparmiate le cellule staminali e le plasmacellule, in quanto non esprimono sulla membrana cellulare il CD20. Il B-linfocita svolge un ruolo importante nella patogenesi delle malattie autoimmuni, perché è in grado di produrre autoanticorpi e citochine, e di attivare i linfociti T. Pertanto è logico ipotizzare che un farmaco in grado di inibire i linfociti B può svolgere un ruolo benefico nel LES. Il rituximab è approvato per l'uso nei linfomi B non-Hodgkin e nell'artrite reumatoide.

Numerosi case-reports e studi non controllati suggeriscono inoltre che il farmaco può essere efficace nel LES. Lo studio "Explorer" ha arruolato 257 pazienti adulti affetti da LES, con attività da moderata a severa, con esclusione dei pazienti con impegno renale. I pazienti sono stati allocati secondo il rapporto 2:1 ad uno dei seguenti due bracci: rituximab (due infusioni e.v. di un grammo ciascuna a distanza di 14 giorni l'una dall'altra, ciclo ripetuto dopo 6 mesi) e prednisone (da 0.5 mg/kg/die a 1 mg/kg/die a seconda dell'attività di malattia, con successivo scalaggio), oppure placebo (con lo stesso schema di infusione del rituximab) e prednisone (con gli stessi dosaggi del braccio rituximab). Tutti i pazienti proseguivano l'eventuale terapia immunosoppressiva già in atto all'entrata nello studio (azatioprina, micofenolato o methotrexate). L'attività di malattia e la risposta clinica sono state valutate con il BILAG.

Dei 169 pazienti entrati nel braccio rituximab, 120 (71%) completavano le 52 settimane dello studio. Analogamente, degli 88 pazienti randomizzati al braccio placebo, 64 (73%) completavano lo studio, con percentuali di sospensione del tutto sovrapponibili. Nessuna differenza per quanto riguarda l'efficacia clinica veniva dimostrata tra i due gruppi, sia per quanto riguarda la risposta clinica maggiore che per la risposta clinica parziale. L'analisi dei sottogruppi mostrava invece una differenza statisticamente significativa a favore del rituximab per quanto riguarda l'efficacia clinica nei pazienti di razza Afro-Americana o Ispanica, che costituivano circa 1/3 dei pazienti in studio. Inoltre, i livelli di anticorpi anti-dsDNA si riducevano significativamente e i livelli di complemento aumentavano significativamente nei pazienti trattati con rituximab rispetto a quelli del gruppo placebo. La percentuale di eventi avversi era simile nei due gruppi, con l'eccezione delle reazioni all'infusione, più frequenti nel gruppo rituximab specie al secondo ciclo di terapia. Le conclusioni dello studio "Explorer" sono che dopo 52 settimane non c'è alcuna differenza nell'efficacia tra rituximab e placebo nei pazienti affetti da LES da moderato a severo senza impegno renale.

I risultati deludenti dello studio "Explorer" sono in contrasto con quanto sembra emergere dai numerosi studi non controllati finora riportati in letteratura sull'impiego del rituximab nel LES. Fra tutti citiamo l'esperienza dell'University College London Hospital (2). Gli autori riportano l'esperienza con rituximab su 50 pazienti adulti con LES attivo refrattario alla terapia immunosoppressiva convenzionale. L'efficacia clinica era valutata con il BILAG. Lo schema terapeutico prevedeva rituximab 1 g e.v. in associazione a ciclofosfamide 750 mg e.v. e a metilprednisolone 100-250 mg e.v. in due occasioni a distanza di 14 giorni. Dei 45 pazienti con follow-up significativo, 40 (89%) mostravano una remissione parziale o totale a 6 mesi, mentre solo 5 erano non-responder, portando gli autori a concludere che la terapia di combinazione rituximab/ciclofosfamide è efficace nei pazienti con LES attivo refrattario alla terapia immunosoppressiva convenzionale.

Analogamente allo studio "Explorer", appaiono deludenti i risultati dello studio "Lunar", uno studio randomizzato, controllato vs placebo, in doppio cieco, multicentrico, disegnato per valutare l'efficacia del rituximab nei pazienti con nefrite lupica (3). Lo studio, presentato al Congresso ACR di Philadelphia nell'ottobre 2009, ha arruolato 144 pazienti con nefrite lupica classe III o IV, randomizzati secondo il rapporto 1:1 a ricevere rituximab in associazione a micofenolato e prednisone, o placebo in associazione a micofenolato e prednisone. Sebbene si evidenziava un trend verso una maggiore efficacia nel gruppo rituximab per quanto riguarda la risposta clinica (57% vs 46% nel gruppo placebo), non si raggiungeva la significatività statistica. La percentuale di eventi avversi era sovrapponibile nei due gruppi. Anche in questo studio, il farmaco ha mostrato un'efficacia biologica, in quanto nel gruppo rituximab si riduceva il titolo degli anti-dsDNA e aumentavano i livelli di complemento in modo significativo rispetto ai controlli trattati con placebo. Anche in questo caso, i risultati sono in contrasto con quanto finora riportato in letteratura. Ad esempio, nello studio di Gunnarsson et al (4) vengono riportati i risultati sia clinici che istologici della terapia con rituximab in pazienti con nefrite lupica resistente al trattamento immunosoppressivo convenzionale. Si tratta di sette pazienti con nefrite lupica, trattate con 4 infusioni di rituximab (375 mg/m2 di superficie corporea) in associazione a ciclofosfamide. Le pazienti erano sottoposte a biopsia renale prima della terapia con rituximab e da 3 a 6 mesi dopo. I risultati hanno mostrato una buona risposta clinica ed un miglioramento del quadro istologico in tutte le pazienti trattate, portando gli autori a concludere che nei pazienti con nefrite lupica resistenti al trattamento immunosoppressivo convenzionale la terapia di combinazione rituximab-ciclofosfamide costituisce una valida opzione.

Numerosi sono gli argomenti per spiegare le differenze riscontrate nei due trials "Explorer" e "Lunar" con quanto apprezzabile nell'esperienza della realtà clinica. Il rituximab nella realtà clinica si è dimostrato efficace nei pazienti già trattati con immunosoppressori convenzionali, che non avevano risposto a tali farmaci, mentre nei due trials controllati i pazienti avevano una malattia meno attiva e non erano stati trattati con dosi elevate di immunosoppressori. Le dosi elevate di prednisone utilizzate nei due trials controllati possono aver incrementato in maniera significativa la percentuale di risposta nei pazienti trattati con placebo. D'altra parte, non è ipotizzabile trattare i pazienti con una riacutizzazione del LES soltanto con il placebo. Inoltre, nei due trials controllati non è stato valutato il possibile effetto sinergico della combinazione rituximab-ciclofosfamide nei casi di LES refrattario. Anche i fattori etnici possono contribuire alla differente risposta al farmaco. Infatti, vari studi documentano una risposta terapeutica variabile ai principali immunosoppressori in differenti gruppi etnici. Infine, mentre i trials clinici hanno come obiettivo la dimostrazione della superiorità di efficacia del rituximab nei confronti degli immunosoppressori tradizionali (corticosteroidi, ciclofosfamide, micofenolato), nella pratica clinica il Rituximab si è dimostrato efficace nei pazienti refrattari agli immunosoppressori tradizionali. In conclusione, i pazienti inclusi nei due trials "Explorer" e "Lunar" sono molto diversi dai pazienti descritti negli studi non controllati.

Le esperienze riportate in letteratura ci inducono ad affermare che il rituximab non è indicato come terapia di primo approccio nel LES, mentre l'impiego off-label nei casi di LES severo e refrattario ai comuni immunosoppressori sembra sortire buoni risultati sia in termini di efficacia clinica che di tollerabilità.

BIBLIOGRAFIA
1) Merrill JT, Neuwelt CM, Wallace DJ, et al. Efficacy and safety of rituximab in moderately-to-severely active systemic lupus erythematosus: The randomized, double-blind, phase ii/iii systemic lupus erythematosus evaluation of rituximab trial. Arthritis Rheum 2010;62:222-33.
2) Lu TY, Ng KP, Cambridge G, Leandro MJ, Edwards JC, Ehrenstein M, Isenberg DA. A retrospective seven-year analysis of the use of B cell depletion therapy in systemic lupus erythematosus at University College London Hospital: the first fifty patients. Arthritis Rheum 2009;61:482-7.
3) Furie R, Looney RJ, Rovin B, et al. Efficacy and safety of Rituximab in subjects with active proliferative lupus nephritis: results from the randomized, double-blind phase III LUNAR study. ACR Philadelphia, October 2009.
4) Gunnarsson I, Sundelin B, Jónsdóttir T, et al. Histopathologic and clinical outcome of rituximab treatment in patients with cyclophosphamide-resistant proliferative lupus nephritis. Arthritis Rheum 2007;56:1263-72.


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