Terapia

Rituximab, promettenti i primi dati nella sindrome di Sjögren

L'anticorpo monoclonale rituximab (MabThera, Roche) ha dimostrato in un piccolo studio prospettico di migliorare la funzione salivare e le manifestazioni extraghiandolari della sindrome di Sjögren primaria.

Infatti, la velocità del flusso salivare stimolato è migliorata in modo significativo rispetto al basale nei pazienti che hanno ricevuto due infusioni di rituximab (P=0,018 alla settimana 5 e P=0.004 alla settimana 12), mentre nei pazienti trattati con placebo la funzione delle ghiandole salivari si è ridotta, come tipicamente accade nella storia naturale della malattia, una sindrome infiammatoria cronica su base autoimmune, che coinvolge  le ghiandole esocrine (ghiandole salivari minori, ghiandole lacrimali, parotidi) ed è spesso accompagnata da manifestazioni extraghiandolari come il fenomeno di Raynaud, l'artrite e una grave astenia.
L'iperattività dei linfociti B, dimostrata dai livelli elevati di fattore reumatoide e di altri autoanticorpi, è un riscontro tipico della sindrome di Sjögren.

Al momento non esistono terapie mirate contro la patologia, ma alcuni studi pilota con rituximab, che si lega all'antigene di superficie CD20 sui linfociti B, hanno evidenziato promettenti miglioramenti dei sintomi, per 6-9 mesi.

Il nuovo studio, un trial randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, pubblicato sul numero di aprile di Arthritis & Rheumatism, ha coinvolto in totale 30 pazienti, di cui 20 randomizzati al trattamento con due infusioni di rituximab, alla dose di 1000 mg, ai giorni 1 e 15, e 10 al placebo.
Tutti i pazienti erano positivi agli autoanticorpi e avevano una velocità di secrezione salivare stimolata di 0,15 ml(min, indice della presenza di una certa funzione salivare residua.

Per minimizzare gli effetti collaterali legati all'infusione, i pazienti sono stati anche pretrattati con metilprednisolone endovena e trattati con un ciclo di prednisone orale per cinque giorni dopo ogni infusione.

I risultati hanno messo in luce una differenza significativa tra il gruppo placebo e quello in trattamento attivo nella variazione media del flusso salivare (P=0,038). Inoltre, sono state riscontrate variazioni dei parametri di laboratorio. Sono state osservate differenze significative nella variazione media della conta dei linfociti B in tutti i momenti di misurazione tra la e settimane 5 e 48 (P<0.05 per tutti), e nei livelli di fattore reumatoide alle settimane 12, 24 e 36 (P<0.05 per ogni rilevazione),
I pazienti trattati con rituximab hanno ottenuto, rispetto al basale, una riduzione dei punteggi del Multidimensional Fatigue Inventory (un questionario utilizzato per la valutazione dell'astenia) relativi al calo dell'attività alla settimana 36 (P=0.023) e di quelli relativi al calo di motivazione dal basale fino alla settimana 12 (P=0.039). Ci sono stati anche miglioramenti significativi della vitalità fino alla settimana 36 (P=0.013).

Le valutazioni dei pazienti sulla secchezza notturna delle fauci hanno mostrato miglioramenti alle settimane 24, 36 e 48 nel gruppo rituximab, mentre quelle relative alla secchezza oculare sono migliorate alle settimane 36 e 48.
Nel gruppo placebo, invece, variazioni significative nei livelli di fattore reumatoide e nei sintomi di secchezza orale e oculare si sono osservate solo alla settimana 5. Gli autori ipotizzano che questi brevi miglioramenti possano essere correlati alla somministrazione dei corticosteroidi prima e dopo l'infusione.
Nel gruppo rituximab, il numero medio di manifestazioni extraghiandolari per paziente si è ridotto significativamente per quanto riguarda la tendomialgia alle settimane 12 e 36 (P=0.029) e per quanto riguarda la vasculite alla settimana 24 (P=0.030).
Dei sei pazienti del gruppo rituximab che presentavano artrite all'inizio dello studio, quattro hanno ottenuto la risoluzione dei sintomi, mentre nessuno di quelli del gruppo placebo aveva un'artrite al basale, ma ha sviluppato sintomi artritici durante il follow-up.

Sul fronte della sicurezza, secondo gli autori, l'incidenza delle infezioni è stata ampiamente confrontabile nei due gruppi in studio: 65 per 1.000 pazienti/anno nel braccio rituximab e 76 per 1.000 pazienti/anno nel braccio placebo.
Questo valore è inferiore a quello riportato per i pazienti in terapia con rituximab per il trattamento dell'artrite reumatoide e potrebbe essere spiegato dal fatto che nessuno dei pazienti di questo studio era stato sottoposto in precedenza a un trattamento immunosoppressivo intenso, a differenza di ciò che accade generalmente per i pazienti artritici.

In uno studio pilota precedente, i ricercatori non avevano osservato alcun miglioramento della funzionalità delle ghiandole salivari in pazienti con un potenziale secretorio residuo scarso o nullo. Hanno quindi scelto per questo trial il cutoff di 0.15 ml/min, valore che permette di distinguere i pazienti che sono ancora in una fase di perdita progressiva della funzione secretoria da quelli che sono arrivati alla fase finale della malattia.

In base a risultati promettenti di questo studio e di un nostro studio precedente sul ritrattamento con rituximab, che ha sortito effetti benefici, paragonabili a quelli ottenuti con il primo trattamento con questo farmaco, una terapia di mantenimento con infusioni di rituximab ogni 6-9 mesi potrebbe essere un approccio ragionevole per il trattamento di questi pazienti, scrivono gli autori.

I possibili vantaggi di una terapia di mantenimento potrebbero essere il rallentamento e forse l'arresto della progressione della malattia, oltre a miglioramenti della qualità di vita. Un potenziale svantaggio potrebbe essere invece rappresentato da possibili effetti avversi sconosciuti a lungo termine legati a una deplezione ripetuta delle cellule B.

Meijer J, et al "Effectiveness of rituximab treatment in primary Sjögren's syndrome: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial" Arthritis Rheum 2010; 62: 960-68.
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