Associazioni di pazienti

Che cosa chiedono i pazienti sui farmaci biotecnologici e biosimilari?

Far capire e conoscere le chance terapeutiche date dai farmaci biotecnologici e biosimilari ai malati reumatici e di malattie infiammatorie dell’intestino: questo l’obiettivo dell’incontro pubblico organizzato da A.M.R.E.R. (Associazione malati reumatici Emilia Romagna) e AMICI ONLUS tenutosi il 12 ottobre presso l’Aula Magna Pietro Manodori dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Incontro a cui hanno parlato fonti autorevoli e accreditate, con la voce di Anna Maria Marata, medico Coordinatrice Commissione Regionale del Farmaco della Regione Emilia-Romagna e membro della Commissione tecnico-scientifica di AIFA (Agenzia italiana del farmaco), l’istituzione pubblica per l’attività regolatoria dei farmaci in Italia, e dei clinici che condividono con i loro pazienti la terapia migliore da adottare nel percorso di cura.

Uno dei dubbi che più attanaglia i pazienti riguarda lo shift (il passaggio dall’originator al biosimilare) e lo switch (il passaggio da un biotecnologico a un biosimilare). L’efficacia dei farmaci sarà la stessa? Risponde sì, senza alcuna esitazione, Anna Maria Marata, dopo aver fatto un focus su quante volte un farmaco può subire modifiche di produzione nel corso degli anni, senza che perda la sua efficacia, e ricordando che molte delle case farmaceutiche che producono gli originator sono le stesse che producono anche i biosimilari. Prima che qualunque farmaco vada sul mercato deve superare diversi step, ricorda Marata, tra cui le prove di qualità, quelle di efficacia pre-clinica (in vitro e sugli animali), e di efficacia e sicurezza clinica (sull’uomo). E non è tutto, poi passa alla comparabilità, ossia alla verifica fatta dall’EMA, European Medicines Agency, occupandosi di accertare che il farmaco modificato non sia diverso dal precedente. La differenza, quindi, sta nei costi di cui si fa carico il Sistema Sanitario Nazionale. Gli originator costano di più. Ma, sottolinea ancora Marata, il punto non è il solo costo: se due farmaci si sono dimostrati uguali, di pari efficacia, si prescrive quello che costa meno e che darà lo stesso risultato sul paziente. Inoltre, «stiamo parlando di tecnologie consolidate, di cui siamo sicuri. Stiamo già andando verso altre direzioni, quelle delle terapie cellulari e geniche, oggi utilizzate prevalentemente in oncologia: si fanno farmaci partendo dalle cellule dei pazienti per poi manipolarle e reintrodurle nei pazienti. Sono cure personalizzate, che hanno un alto costo, ma questo è il futuro e dobbiamo renderlo possibile per chi ne avrà bisogno».

Sul web, poi, circola di tutto e si alimentano facilmente altri dubbi: se sfiora il pensiero che si possa essere curati al costo minore perché conviene alle aziende sanitarie è cosa comprensibile. Ma non bisogna fermarsi a una lettura non affidabile, meglio sciogliere i dubbi con i clinici o leggendo fonti accreditate. Stando a quanto detto dal membro della Commissione tecnico-scientifico di AIFA, e a quanto si legge nell’ultima position paper del 2018 dell’Agenzia italiana del farmaco, in quanto fonte attendibile, i biosimilari sono sovrapponibili agli originator. Fatto che si legge anche nell’ultima position paper della società scientifica CReI, Collegio Reumatologi italiani: «Noi seguiamo il principio che vada dato il farmaco giusto al paziente giusto, al momento giusto e al costo giusto», riassume Gilda Sandri, reumatologa presso l’AOU Policlinico di Modena e Vicepresidente del CReI.

Da un sondaggio nazionale condotto da AMICI ONLUS su un campione di 1.749 persone, che ha indagato il punto di vista dei pazienti sui biosimilari, alla domanda “Ritiene che i farmaci biosimilari siano uguali ai farmaci biologici tradizioni?” è emerso che il 73,5% non sa dare una risposta, il 12,02% pensa che l’efficacia potrebbe essere ridotta, il 9,23% crede che la sicurezza potrebbe essere minore, mentre il 10,58% è convinto che siano uguali. Il 57,6% del campione reputa insufficienti le conoscenze generali sui biosimilari, mentre il restante le ritiene sufficienti (30,19%), buone (9,62%), ottime (2,5%). «L’utilizzo dei biosimilari è limitato da diffidenze e perplessità sia da parte di pazienti sia da parte di alcuni clinici. In molti casi prevale la propensione a considerarli ‘biologici di serie B’. Si fa spesso confusione tra biotecnologici e biosimilari, tra biosimilari ed equivalenti, e nonostante il secondo position paper di AIFA permangono dubbi e remore circa l’intercambiabilità di biologici e di biosimilari. Non sono stati ancora ben assimilati i criteri dello switch tra biologici e biosimilari», sottolinea Daniele Conti, Direttore di A.M.R.E.R. Per fare chiarezza su queste chance terapeutiche, A.M.R.E.R. e AMICI ONLUS daranno il via a una campagna regionale di informazione sulle nuove opportunità di cura “Fatti chiari sui biosimilari”. «L’obiettivo», dice Daniele Conti di A.M.R.E.R., «è quello di creare fiducia intorno ai biosimilari, vincendo dubbi e perplessità da parte di pazienti e medici. Valorizzare le opportunità di cura dei biosimilari nell’area delle malattie reumatologiche e gastroenterologiche. Assicurare l’utilizzo omogeneo di questa opportunità in ambito regionale, facendo sempre riferimento al ruolo centrale della scelta del medico».

Un’altra domanda del sondaggio di AMICI ONLUS ha indagato se il paziente “Ha firmato un consenso informato sull’uso del farmaco biosimilare”. Il 71,47% dice di no, il 18,81% risponde sì, mentre il 9,72% non lo sa. Ma si deve firmare il consenso informato se si usa un farmaco biosimalare? «No, non c’è alcuna necessità. Ma è fondamentale che la decisione del passaggio dall’originator al biosimilare e che la terapia venga accuratamente condivisa con il paziente», sottolinea Carlo Salvarani, Direttore della Struttura Complessa di Reumatologia dell’AOU di Modena e Reggio Emilia. «Essendo un farmaco che AIFA prima ed EMA poi hanno riconosciuto per quella patologia, non è necessario raccogliere la firma del consenso informato. Diversa è la situazione per i pazienti che fanno un farmaco che noi definiamo off label, fuori dalle indicazioni, perché sappiamo che da alcuni dati della letteratura potrebbe servire per la patologia di uno specifico paziente, allora in questo caso sì, è obbligatorio», rinforza Marina Beltrami, Responsabile della Struttura Semplice di Gastroenterologia dell’Ospedale di Reggio Emilia. E, aggiunge Anna Maria Marata: «Un farmaco può essere in label o off label. Nel primo caso, si intende che lo si usa per le motivazioni e le indicazioni presenti nel label, il foglietto illustrativo: quando viene usato per quelle motivazioni e secondo le modalità riportate non c’è bisogno di firmare un consenso. Il foglietto informativo dà già tutte le informazioni che servono. Il paziente, però, deve essere adeguatamente informato dal clinico. Per gli usi off label, cioè situazioni non previste nel foglietto illustrativo, e che quindi il paziente non può leggere, perché non fanno parte delle situazioni valutate dall’Agenzia regolatoria e scritte nel foglietto, invece, occorre un consenso informato firmato: il paziente deve sapere per quale motivo gli viene dato quel farmaco, al di fuori delle regole autorizzative. Riguardo al biosimilare: questo farmaco ha un foglietto informativo chiaro su ci sono scritti tutti i casi in cui può essere usato, quindi non necessita di un consenso informato scritto». E su questo ultimo punto, Gian Luigi Bajocchi, Responsabile della Struttura Semplice di Reumatologia di Reggio Emilia aggiunge che: «Il tema del consenso informato è enorme e quando se ne parla il pensiero corre molte volte a un modulo cartaceo da firmare. Il medico nel proporre una terapia è tenuto a informare il paziente e il paziente deve poter esprimere un proprio consenso, anche implicito, senza firmare un modulo cartaceo. Come succede in tante terapie proposte. Il paziente, a quel punto, riguardo al biosimilare, può accettare o meno che sia sovrapponibile all’originator. Ma se non le accetta è chiara anche un’altra cosa: la messa in discussione del rapporto fiduciario con chi glielo prescrive».


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