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Spondilite anchilosante. ANMAR: "Vanno favoriti gli interventi terapeutici tempestivi"

Sono più di 40mila le persone interessate dalla spondilite anchilosante in Italia. Colpisce soprattutto gli uomini dopo i 25 anni e determina un progressivo irrigidimento della colonna vertebrale. Si manifesta attraverso forti dolori e può rendere impossibile flettere la colonna vertebrale. Contro la spondilite anchilosante esistono trattamenti molto efficaci seppur non risolutivi. Viene però diagnosticata con ritardi inaccettabili che fanno perdere l’opportunità di accedere a cure che ottengono il massimo del risultato solo se iniziate molto precocemente.

Dato che emerge da un recente sondaggio promosso da ANMAR e condotto in collaborazione con i medici specialisti dell’Osservatorio CAPIRE su un campione di oltre 100 pazienti: il 60% di chi soffre di spondilite anchilosante riceve una diagnosi corretta dopo 3 anni dall’inizio dei sintomi. Tempi eccessivi, afferma Silvia Tonolo, Presidente dell’Associazione nazionale malati reumatici, tanto che solo il 29% sostiene di aver una buona qualità di vita e otto su dieci affermano di provare un senso di smarrimento e la necessità di parlare con qualcuno del proprio disagio. «I tempi d’attesa così lunghi complicano la gestione di una patologia invalidante e di cui si parla ancora poco», sottolinea Tonolo.

Ma a chi si rivolge la persona che accusa i primi sintomi di questa malattia in prima battuta? Dai dati emerge che il 45% del campione va dal medico di medicina generale, il 35% dall’ortopedico e il 14% dal reumatologo. Tra questi, il 63% dice che ha dovuto fare più di 4 visite prima di avere un nome al suo dolore, il 20% ne ha fatte 4, il 10% 2, e solo il 7% ha avuto una diagnosi corretta alla prima visita.  

«Sono ancora molte le difficoltà riscontrate dai malati nel nostro Paese», commenta Silvia Tonolo. «Ben l’83% degli intervistati afferma di avere dovuto effettuare quattro o più visite mediche prima di avere una diagnosi corretta. I tempi d’attesa risultano ancora troppo lunghi e complicano ulteriormente il quadro clinico di una malattia di per sé già molto invalidante. In particolare risulta evidente la necessità di una maggiore informazione su un grave problema di salute di cui si parla ancora poco. Infatti oltre l’80% dei malati sostiene di aver cercato nel web notizie sulla spondilite anchilosante».

«Lo specialista reumatologo viene coinvolto mediamente troppo tardi nel processo diagnostico per carenza o disattenzione nell’attivazione di percorsi diagnostico terapeutici che pure esistono», rimarca Mauro Galeazzi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio CAPIRE e Presidente Emerito della Società Italiana di Reumatologia.

I risultati del sondaggio, inoltre, mettono in luce un altro aspetto importante: la metà dei pazienti non è soddisfatta della terapia farmacologica che sta assumendo. Al tempo stesso solo uno su tre ritiene efficace la gestione farmacologica del dolore. «Da questi due dati si evince chiaramente quanto sia forte l’impatto della malattia», commenta Francesco Ciccia, Ordinario di Reumatologia dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”: «L’avvento dei farmaci biologici, ormai oltre due decenni fa, ha modificato positivamente il decorso delle complesse condizioni cliniche che contraddistinguono la spondilite anchilosante. Se vogliamo però garantire migliori condizioni di vita ai pazienti bisogna favorire gli interventi terapeutici tempestivi. Fondamentale deve essere il ruolo del medico di medicina generale. Rafforzando la collaborazione tra questi professionisti e noi specialisti reumatologi si possono aumentare le diagnosi precoci, prevenire le disabilità dei malati e, di conseguenza, ridurre i costi sociali diretti e indiretti della malattia».

I dati, riferiti in un webinar, disponibile anche sulla pagina Facebook di ANMAR, https://www.facebook.com/ANMAROnlus/videos/470589020650862, è stato possibile anche grazie al contributo incondizionato di Novartis.
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