Malattie reumatiche

200mila "disoccupati per dolore", oltre 23 milioni di giornate di lavoro perse ogni anno

Disoccupati per il dolore causato dal danno articolare: sono circa 200mila gli italiani costretti ad abbandonare il lavoro o che non trovano più un'occupazione perché affetti da patologie reumatiche invalidanti. Si tratta soprattutto di pazienti con malattie come l'artrite reumatoide, l'artrite psoriasica o la spondilite anchilosante, che nell'arco di 5 anni dalla diagnosi in quattro casi su dieci si ritrovano senza impiego perché per colpa del dolore non possono più svolgere le loro abituali mansioni di impiegati, commercianti, artigiani, operai.
 
I costi sociali complessivi solo per queste tre malattie ammontano a 4 miliardi perché alle perdite dovute al calo di produttività e ai 23milioni di giorni di lavoro persi ogni anno, stimate in oltre 2,8 miliardi, si aggiungono i costi di disoccupazione, le spese per il trattamento della malattia,  e gli assegni di inabilità e di invalidità, che crescono al ritmo di 4000 nuove richieste all'anno e che sono inferiori solo a quelli erogati per neoplasie e malattie cardiocircolatorie. E’ questo il prezzo che l’Italia deve pagare per la carenza di posti letto, di strutture reumatologiche assistenziali e di una rete assistenziale reumatologica adeguata che permetta una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo e appropriato delle malattie reumatiche, specie di quelle più invalidanti. L'allarme arriva dal convegno di Fit for Work Italia, un progetto che nell'ambito di Fit for Work Europa mira ad aumentare la sensibilità di istituzioni e opinione pubblica per una corretta gestione delle patologie muscolo-scheletriche, così da ridurre i costi diretti e indiretti a esse correlati.      

“La maggioranza dei pazienti affetti dalle patologie reumatiche più invalidanti ha un’età compresa fra i 35 e i 55 anni, è cioè nel pieno della vita lavorativa attiva – spiega Giovanni Minisola, Chairman del tavolo clinico Fit for Work e Primario della Divisione di Reumatologia dell’Ospedale di Alta Specializzazione “San Camillo” di Roma – Il dolore, il sintomo principale di queste malattie, peggiora la qualità della vita e compromette la capacità lavorativa e produttiva. Le malattie reumatiche sono oggi la prima causa di assenze dal lavoro e di invalidità per malattie cronico-degenerative; sono altresì la causa della metà delle assenze superiori ai tre giorni, del 60% dei casi di inabilità al lavoro e di più del 25% delle pensioni di invalidità erogate dallo Stato. Per i pazienti tutto questo si traduce in un dramma personale e famigliare: quattro su dieci sono costretti prima o poi a rinunciare al lavoro e così oggi sono stimati in circa 200.000 i “non occupati per patologie reumatiche”.
 
I lavoratori con malattie reumatiche rischiano, oltre alla disoccupazione, il pensionamento anticipato e l'esclusione sociale. Perciò in un momento come quello attuale la gestione inadeguata delle malattie reumatiche concorre a ostacolare la ripresa economica del Paese: le perdite economiche dovute a queste patologie pesano quanto il taglio dell'IMU”.
 
I costi indiretti legati alle malattie reumatiche sono infatti enormi e a sostenerli sono soprattutto le famiglie, che vedono ridursi le entrate perché il lavoratore malato o il familiare che lo assiste non possono più lavorare, ma anche lo Stato che negli ultimi 10 anni ha erogato oltre 165.000 assegni di invalidità a pazienti con malattie reumatiche. Soltanto nel 2012 l'INPS ha speso oltre 104 milioni di euro per questi pazienti; la cifra è per giunta in crescita del 10 per cento rispetto a tre anni prima, a indicare che i costi indiretti legati alle patologie reumatiche sono in continua crescita. Questo problema è riconducibile in larga misura alla mancanza di un'efficiente rete reumatologica che possa assicurare diagnosi precoci e garantire trattamenti appropriati e tempestivi.  

“Sappiamo, ad esempio, che garantire a chi ne ha bisogno, l'accesso tempestivo alle terapie più innovative, comporta una drastica riduzione del numero di giornate di lavoro perse; – riprende Minisola – ciò è stato confermato da una recentissima indagine che ha evidenziato come l’introduzione dei farmaci biologici nella terapia determina nei soggetti trattati una significativa diminuzione dei giorni di assenza dal lavoro significativamente maggiore rispetto ai casi in cui tali farmaci non vengono impiegati. Se fosse possibile impiegare i farmaci secondo i criteri previsti dalle più accreditate Linee Guida nazionali e internazionali per la gestione delle malattie reumatiche e se si consentisse l'accesso alle terapie più innovative a tutti i 150mila malati reumatici italiani che ne hanno bisogno, si potrebbe risparmiare un miliardo di euro di costi indiretti legati alla perdita di produttività lavorativa, liberando risorse economiche da reinvestire altrove”.  

La proposta di Fit for Work Italia alle Istituzioni, alle Associazioni, alle Società Scientifiche e alle parti sociali prevede la riorganizzazione dei servizi reumatologici in una rete assistenziale nazionale e l'organizzazione di servizi per il recupero delle capacità lavorative del paziente. “Il recupero e il mantenimento della capacità lavorativa deve diventare un parametro imprescindibile nell'elaborazione dei percorsi di cura al fine di migliorare le condizioni di lavoro dei pazienti, ridurre il numero dei malati disoccupati e diminuire le giornate di lavoro perse, attuando in ambito reumatologico una vera spending review – osserva Minisola –. Alle  proposte di Fit for Work Italia la classe politica italiana, finora poco o affatto attenta, deve dare risposte concrete basate sui fatti e non su evanescenti dichiarazioni di intenti. Le indicazioni della coalizione italiana Fit for Work devono rientrare all'interno di un piano sanitario per le malattie reumatiche da presentare come modello assistenziale durante il periodo di presidenza italiana dell’UE nel secondo semestre del 2014, da luglio a dicembre 2014, per dimostrare che anche l’Italia è in grado di dare risposte adeguate alle istanze dei lavoratori colpiti da una malattia reumatica invalidante, così come accade da tempo e con successo in altri Stati del vecchio continente”.


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