Malattie reumatiche

Nuovo anti-IL20 promette bene contro l'artrite reumatoide

Un nuovo anticorpo monoclonale sperimentale diretto contro l'interleuchina-20 (IL-20), noto per ora con la sigla NNC0109-0012 e sviluppato da Novo Nordisk, si è dimostrato superiore al placebo nella riduzione dell'attività della artrite reumatoide (AR) in uno studio di fase IIa su 67 pazienti della durata di 12 settimane, appena presentato al congresso della European League Against Rheumatism (EULAR), a Berlino.

In questo trial, che sembra dimostrare la validità dell'IL-20 come bersaglio terapeutico nell'AR, il trattamento con l'anticorpo ha ridotto i punteggi dell'indice DAS28 (inclusi quelli relativi alla proteina C-reattiva, DAS28-CRP) di 0,88 punti rispetto al placebo nel giro di 3 mesi (P = 0,020).

Risultati generalmente simili sono stati ottenuti valutando l'efficacia in termini di miglioramento dei sintomi secondo i criteri dell'American College of Rheumatology (ACR).

Tuttavia, il vantaggio del farmaco rispetto al placebo sembra essersi manifestato soprattutto nei pazienti risultati positivi per il fattore reumatoide (FR) e gli anticorpi anti-peptidi citrullinati (ACPA), mentre non si sono viste differenze significative tra NNC0109-0012 e placebo nei pazienti FR- e ACPA-negativi. Analogamente, le differenze tra i i due trattamenti sono stati amplificate nei pazienti sieropositivi - circa due terzi di tutti i partecipanti - rispetto al campione nel suo complesso.

L'IL-20 è divenuta solo di recente è un bersaglio per lo sviluppo di farmaci contro l'AR, dopo che alcuni studi degli ultimi anni hanno dimostrato che è secreta dai tessuti sinoviali, in cui sono espressi anche i recettori della citochina.

In aggiunta, come spiegato dal primo autore Ladislav Senolt, dell'Institute of Rheumatology di Praga, l'IL20 stimola il rilascio di altre proteine pro-infiammatorie dai fibroblasti della sinovia, comprese altre interleuchine e alcune chemochine. Inoltre, ha aggiunto il ricercatore, negli studi su modelli animali di AR il trattamento con anticorpi monoclonali anti-IL20 ha alleviato il dolore e l'infiammazione e prevenuto l'erosione articolare.

Sulla base di questi presupposti, Senolt e gli altri autori hanno provato a testare l'efficacia dell'anti-IL20 NNC0109-0012 nell'AR trattando i pazienti in rapporto 2:1 con l'anticorpo alla dose di 3 mg oppure placebo per via sottocutanea una volta alla settimana, in entrambi i casi in combinazione con metotrexate (MTX).

Per poter partecipare allo studio, i pazienti dovevano avere una durata della malattia di almeno 3 mesi, punteggi del DAS28-CRP di 4,5 o superiori e almeno cinque articolazioni tumefatte e altrettante dolenti, nonostante 4 settimane di terapia precedente con MTX.

L'età media dei pazienti era di 51 anni e la diagnosi di AR risaliva in media a quasi 7 anni prima. Il punteggio medio del DAS28-CRP era di 6,0, la conta media delle articolazioni dolenti uguale a 17 e quella delle articolazioni tumefatte uguale a 13.

Al termine delle 12 settimane dello studio, i pazienti trattati con l'anticorpo hanno mostrato una riduzione media del DAS28-CRP di circa 2 punti, mentre nel gruppo placebo la riduzione è stata di circa la metà.

Limitando l'analisi ai circa i due terzi dei pazienti che erano RF- e ACPA-positivi in entrambi i gruppi di trattamento, la differenza tra anticorpo e placebo è risultata ancora più ampia: i punteggi medi del DAS28-CRP sono infatti diminuiti di circa 2,4 punti nel gruppo in trattamento attivo contro 0,7 punti nel gruppo di controllo (P = 0,0004).

Il trattamento è stato interrotto dopo 12 settimane (tranne quello con MTX), ma i pazienti sono stati seguiti e valutati per ulteriori 13 settimane, durante le quali la differenza di risposta tra pazienti sieropositivi w sieronegativi è stata mantenuta e si sono osservati solo lievi aumenti dei punteggi DAS28-CRP in entrambi i gruppi.

L'anticorpo si è dimostrato superiore al placebo, seppure non in modo statisticamente significativo, anche per quanto riguarda le risposte ACR20, ACR50 e ACR70 (endpoint secondari di efficacia) che sono state rispettivamente di 48,9% contro 31,8% (P = 0,004), 35,6% contro 13,6% (P = 0,029) e 24,4% contro 4,5% (P = 0,047).

Anche in questo caso, tuttavia, restringendo l'analisi ai pazienti FR- e ACPA-positivi, le differenze nelle risposte ACR tra anticorpo e placebo, a favore del primo, sono risultate sempre statisticamente significative.

Gli eventi avversi totali, quelli manifestatisi durante il trattamento, quelli gravi e gli abbandoni dello studio hanno mostrato un'incidenza uguale nei due gruppi; tuttavia, le infezioni (tutte di grado lieve-moderato) sono state più frequenti con l'anticorpo che non con il placebo (10 pazienti contro uno). Non sono stati invece segnalati decessi correlati alla terapia.

Senolt ha concluso la sua presentazione dicendo che il trattamento con il nuovo anti-IL20 è stato ben tollerato e ha mostrato prove significative di efficacia clinica.

Commentando i risultati, Roy Fleischmann, dello University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas, si è concentrato sulla differenza di risposta tra i pazienti sieropositivi e quelli sieronegativi e si è chiesto se questi ultimi avessero effettivamente l'AR, facendo riferimento a un dibattito in corso sulla possibilità che i pazienti possano davvero essere malati per anni senza mostrare la presenza di questi fattori di autoimmunità

Qualcuno dei presenti si è inoltre chiesto se la stratificazione sierologica fatta nello studio fosse statisticamente significativa, dal momento che nel gruppo placebo solo otto pazienti erano sieronegativi. Senolt ha convenuto sul fatto che i numeri in questo studio fossero troppo piccoli per poter concludere che NNC0109-0012 non è efficace nei pazienti sieronegativi.

L. Senolt, et al. Efficacy and safety of NNC0109-0012 (anti-IL-20 Mab) in patients with rheumatoid arthritis: results from a phase 2A trial. EULAR 2012; abstract LB0004.


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